Cosa pensa Papa Francesco dei social
venerdì 24 febbraio 2017

«Un grammo di buon esempio vale più di un quintale di parole» diceva san Francesco di Sales. Quando morì, nel 1622, i media non esistevano ancora. E tantomeno i social network. Eppure lui per raggiungere i fedeli più lontani scelse il dialogo, inventando i cosiddetti «manifesti». Erano fogli volanti, che venivano affissi ai muri o fatti scivolare sotto le porte delle case.
Quasi 500 anni dopo, ieri, sul profilo Twitter di Papa Francesco è apparsa questa riflessione: «Non sottovalutiamo il valore dell'esempio perché ha più forza di mille parole, di migliaia di “likes” o retweets, di mille video su Youtube».
Non una critica tout court ai social. Né tantomeno ai tanti che ogni giorni li usano. Ma un richiamo alla concretezza. Perché – a differenza di quello che credono molti – i social non sono un mondo virtuale o uno spazio a sé, ma un'occasione di relazione.
Semmai – come ha scritto pochi giorni fa il Papa nel discorso consegnato a professori e studenti dell'Università Roma Tre – «occorre interrogarsi su ciò che [in Rete e sui social – ndr] è buono, facendo riferimento ai valori propri di una visione dell'uomo e del mondo, una visione della persona in tutte le sue dimensioni, soprattutto quella trascendente».

Cosa pensa papa Francesco dei social

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Non è la prima volta che il Papa parla dei social network. Già nel Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali del 2014, scriveva: «Internet può offrire maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti, e questa è una cosa buona, è un dono di Dio. Esistono però aspetti problematici: la velocità dell'informazione supera la nostra capacità di riflessione e giudizio e non permette un'espressione di sé misurata e corretta. [...] L'ambiente comunicativo può aiutarci a crescere o, al contrario, a disorientarci. Il desiderio di connessione digitale può finire per isolarci dal nostro prossimo, da chi ci sta più vicino». E ancora: «Questi limiti sono reali, tuttavia non giustificano un rifiuto dei media sociali; piuttosto ci ricordano che la comunicazione è, in definitiva, una conquista più umana che tecnologica».
Nella Costituzione Apostolica Vultum Dei quaerere Francesco aveva affrontato anche l'uso dei social network per le suore e le monache di clausura, esortandole a usare i media (social compresi) ma a non cedere alle tentazioni della Rete che distraggono dal silenzio e dalla contemplazione. E nel settembre 2015 parlando ai vescovi ospiti dell'Incontro Mondiale delle Famiglie aveva sottolineato: «Inseguendo un “mi piace”, inseguendo l'aumento del numero dei “followers” in una qualsiasi rete sociale, le persone seguono una ricerca sfrenata di sentirsi riconosciuti».
Anche nel messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali del 2016 scriveva: «Non è la tecnologia che determina se la comunicazione è autentica o meno, ma il cuore dell'uomo e la sua capacità di usare bene i mezzi a sua disposizione». E nell'ultimo Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni 2017 ci ha esortati «ad una comunicazione costruttiva che, nel rifiutare i pregiudizi verso l'altro, favorisca una cultura dell'incontro». Molto più che un tweet, insomma. Ma un'autentica «catechesi» sui social.

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