Quando la Federconsorzi crollò, si parlò della fine di un'epoca. E in effetti è stato così. Salvo il fatto che la rete dei consorzi agrari allora esistente, di fatto, non si è assolutamente disintegrata.
Anzi, dopo qualche anno di «oscuramento», i Cap (perché gli agricoltori li chiamano ancora così: i Consorzi agrari provinciali), sembrano quasi rinati. Come prova di tutto ciò, ci sono un giro d'affari di tutto rispetto, una rete di assistenza tecnica che molti invidiano e prospettive che sono tutt'altro che da trascurare. Soprattutto, però, la presenza vitale dei Cap deve far pensare ad alcuni aspetti particolari del settore agroalimentare.
A dare testimonianza alcuni numeri che parlano chiaro, resi noti recentemente da Assocap, l'associazione che riunisce i consorzi italiani. Nel 2003 il fatturato dei Consorzi è arrivato alla bella cifra di 2,6 miliardi di euro. Una «specie» di successo, visto che quello passato è stato l'anno delle crisi di mercato, del maltempo e delle incertezze.
Tutti elementi che hanno contribuito a contrarre l'acquisto di materie prime da parte degli agricoltori.
Il risultato dei Cap - grosso modo pari a quello del 2002 - indica in effetti una loro forte presenza nel comparto dei mezzi di produzione, ma anche in quella delle vendite dei prodotti agricoli. Perché la natura dei Consorzi è rimasta quella di una volta: da una parte fornitori di strumenti per produrre, dall'altra venditori dei risultati della produzione. È così che - oggi - la rete dei punti di vendita dei Cap arriva a oltre 1.600 unità, i magazzini sono più di 500, i mangimifici 22, i centri di distribuzione di carburante più di 470, quelli di essiccazione dei cereali cento, quelli di trasformazione venti. Senza contare il fatto che la rete consortile dà lavoro a qualcosa come 8.600 persone.
Insomma, siamo molto distanti dal crollo che qualche anno fa era stato previsto. Anche se, su 60 Cap, 30 sono in liquidazione coatta amministrativa e 5 sono commissariati.
Cosa concludere? Almeno una constatazione: se da una parte il crollo della Federconsorzi fu un evento traumatico (dovuto probabilmente ad una abitudine a gestioni finanziarie «allegre»), dall'altra la presenza odierna dei Cap indica lo stato di salute vero dell'agricoltura, o almeno di una sua parte.
Un settore che combatte ogni giorno su mercati diversi, che riesce a produrre con serietà, che deve - ovviamente - curare alcuni gravi mali cronici, ma che in qualche modo vince. Nel senso che resiste alle intemperie dell'economia e del malaffare, del clima e dei mercati e che, alla fine, in qualche modo riesce a spuntarla andando avanti.
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