«Con le ostriche ho ripulito il porto di New York»
giovedì 28 novembre 2024
Pete Malinowski entra in un recinto grande quanto un campo da tennis indicando montagne di gusci di ostriche. È difficile non vederle, però: alcune superano i tre metri. Siamo a Governors Island e le conchiglie sono arrivate da decine di ristoranti di New York dopo che il loro contenuto è stato divorato dai commensali. I gusci sono stati puliti e sono pronti a essere rigettati in mare, dove daranno una casa alle larve di ostriche deposte sui fondali dal laboratorio di Malinowski — non per il consumo ma per migliorare la biodiversità del porto di New York e proteggere la città dalle inondazioni. «In dieci anni ne abbiamo introdotte centinaia di milioni in 17 siti — dice l’ambientalista urbano, come ama definirsi — siamo a soli 130 milioni dall’obiettivo». Fondato nel 2014, il progetto di Malinowski mira a riportare un miliardo di ostriche vive in un porto che negli ultimi 50 anni è stato troppo inquinato per i molluschi. Il terzo di sei fratelli e sorelle, Pete è cresciuto a Fishers Island, isoletta minuscola di New York, lavorando nell’allevamento di cozze e ostriche dei genitori. «Non andavo bene a scuola e mi piaceva essere in acqua — dice oggi — quando mi sono trasferito a Manhattan nel 2007 non avevo molte opzioni per mantenermi». Ma Pete ha conosciuto Murray Fisher, fondatore della New York Harbour School, un’istituzione non profit coinvolta nella pulizia delle spiagge e nel monitoraggio della qualità dell’acqua, e ha cominciato a sognare di riportare le ostriche nel porto. «Abbiamo iniziato a coltivarle a Governors Island, a livello sperimentale e su piccolissima scala». Tre anni dopo il primo test: installare un vivaio di ostriche nel Brooklyn Navy Yard, dove uno sbocco fognario rendeva la qualità dell’acqua pessima. «L’idea era che se fossero riuscite a sopravvivere lì, avrebbero potuto sopravvivere nella maggior parte del porto». Ma il primo anno è stato un disastro. I molluschi erano ricoperti di parassiti e non crescevano. «Ero pronto a ripartire da New York, anche perché se non dimostravamo che l’idea funzionava, i pochi finanziamenti che avevamo si sarebbero bloccati». Ma l’amico di Peter l’ha convinto ad aspettare ancora un anno, tirando la cinghia. «Aveva ragione. Dodici mesi dopo, le ostriche stavano molto meglio ed erano circondate da anemoni e cozze, granchi blu e piccoli pesci neri. È stato un momento di illuminazione. Avevano solo bisogno di tempo». Quel primo trionfo ha generato entusiasmo e unito varie
comunità, urbane e scientifiche, di New York, portando alla nascita del «Progetto da un miliardo di ostriche», che è cresciuto ogni anno. Oggi i membri dello staff del progetto insegnano acquacoltura, ingegneria oceanica e politica marina in decine di scuole pubbliche di tutta New York. «Non ci sono molti modi in cui i giovani possono avere un impatto positivo sul pianeta – dice Malinowski –. Questo è uno dei pochi». Attorno al progetto ruotano circa 11mila volontari, soprattutto studenti, compresi la moglie e i tre figli del 41enne. «Abbiamo appena trascorso diversi giorni in acqua nella Jamaica Bay per il controllo finale sulle ostriche che abbiamo introdotto quattro anni fa, creando circa mezzo ettaro di habitat. Pesci, granchi e molte altre specie utilizzano la barriera che abbiamo creato. Alcuni studenti guidavano le barche, mentre stagisti, subacquei professionisti e scienziati del Dipartimento di protezione ambientale di New York monitoravano i fondali. Sono state giornate lunghe, ma divertenti». Oggi, il porto di New York è radicalmente più pulito rispetto a 30, 40 anni fa, e i newyorkesi se ne sono riappropriati. «È stata una vera sorpresa per me vedere come l’accesso al porto di New York è migliorato nel tempo. Quando abbiamo iniziato, non c’erano molti posti dove le persone potessero avvicinarsi all’acqua: ora ce ne sono decine». Ma il progetto non si fermerà al traguardo del miliardo di ostriche. Pete immagina una città trasformata dai molluschi e dal loro habitat, in cui i newyorkesi vivono sapendo di essere circondati da una fiorente risorsa naturale, hanno facile accesso al mare e parlano ai colleghi degli aironi che hanno visto mentre andavano al lavoro. © riproduzione riservata
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