Con Galimberti nel labirinto della storia: la scelta davanti a un bivio
lunedì 1 marzo 2021

«Saltare. Questo è ciò a cui siamo chiamati dalla scelta tragica. Gli antichi la raccontavano così. C’è un bivio di fronte a noi. Può essere di ogni genere. Una decisione di enorme portata o una decisione che appare di poco conto. A qualsiasi svolta, piccola o grande, noi non possiamo che farci forza e scegliere. E poiché la scelta è dura, dobbiamo a un tratto lasciarci andare, prendere la rincorsa, e saltare». Anche se questo genera sofferenza. Perché «non esiste scelta senza sofferenza. E non esiste scelta corretta a prescindere. L’unico vero errore infatti è restare fermi al bivio, arroccarsi nella difesa di ciò che non può più essere difeso, tirare su mura o reticolati per proteggere una via che è giunta al suo termine. Chi resta al bivio è finito».


Lo scrittore Matteo Nucci introduce così il sorprendente viaggio fotografico di Maurizio Galimberti racchiuso nel libro Uno sguardo nel labirinto della Storia (edito da Skira, pagine 76, euro 35,00), dalla Grande guerra a oggi, dalle vite spezzate dei bambini del ghetto di Varsavia nel 1943 al fungo atomico di Nagasaki, dal Vietnam alle Torri Gemelle, dal profilo di Che Guevara al volto scavato di Aldo Moro, dagli immigrati del Mare Nostrum al dramma dei profughi siriani: le icone dei momenti cruciali degli ultimi cento anni vengono frantumate in numerosi scatti ricomposti in un’immagine sfaccettata, secondo lo stile a mosaico che caratterizza i lavori dell’instant artist. Ma questa volta il mosaico non è il ritratto di celebrità internazionali o la rivisitazione straordinaria di capolavori dell’arte come il Cenacolo di Leonardo Da Vinci. No, questa volta a legare la sua visione geometrica di centinaia di istantanee scattate con la Instax Fujifilm è la storia. Le immagini che hanno segnato la nostra storia.

Nelle difficoltà dei tempi che viviamo, Galimberti riflette sui segni e l’orrore del passato per andare avanti. Con tecnica e poesia insieme. «Cerco di mitigare l’orrore con la poesia – scrive Galimberti nell’apertura del libro – che con ostinazione cerco anche quando va in scena la morte, la brutta morte, quella che la storia ci regala sempre». Uno sguardo sempre geniale quello di Galimberti che in questi mosaici ci restituisce – per dirla con Denis Curti, che firma un testo del volume - «vere e proprie reliquie contemporanee». «La sua gestualità – continua Curti – sembra capace di togliere la polvere del tempo per lasciare spazio al pensiero e alla commozione». Per guardare alla storia con occhi nuovi, mai arresi, per metterci in discussione, di fronte ai bivi che oggi ci troviamo davanti.

'La grande guerra', 1959, regia di Monicelli

"La grande guerra", 1959, regia di Monicelli - © 2020 Maurizio Galimberti

Il primo scatto è dedicato alla Grande guerra, raccontata con il frame dell’omonimo, magistrale, film di Mario Monicelli. «L’immagine – riprende Nucci – è quella che mette due uomini di fronte al bivio. Due sono le scelte e Galimberti le reduplica lanciandole verso l’alto. Entrambe portano alla morte per fucilazione. Sia lo scatto di Gassman, sia l’attonito silenzio di Sordi. Entrambi scelgono. Entrambi muoiono. Tuttavia, dietro, in mezzo a loro, c’è un terzo uomo. Si tratta di chi invece al bivio rimane fermo. E sprofonda nell’abisso di una vita senza più vita, come il trittico mostra sapientemente. La morte di chi sceglie è vita, è slancio verso qualcosa che è oltre di noi. La vita di chi non sceglie è morte perché chi si arrocca è perduto».

Scorrono gli anni e gli eventi nel «labirinto della storia» proposto da Galimberti, di chi ha scelto e di chi si è fermato al bivio. Per arrivare all’ultimo scatto fra le decine di foto scelte dall’artista con Paolo Ludovici. Una foto tristemente famosa di Tyler Hicks che ci ha messo davanti alla tragedia di una bambina yemenita, Amal, privata del suo futuro. Galimberti nel ri-vedere questo dramma ci lascia indicando la via. «I colori delle Polaroid – annota Nucci – trasformano i due fianchi della bambina. Da una parte c’è un freddo verdastro, una luce di morte. Dall’altra c’è un calore bruno, la fatica della vita. Il volto terreo della bimba osserva il buio della vita e forse sogna in esso una luce. Dev’essere un bagliore, ma a noi è negato. Possiamo solo immaginarlo». Galimberti ci costringe a cercarlo, ci costringe a guardare verso l’alto. A inseguire anche noi una luce che possa dare un senso al nostro andare su questa terra. Scegliere, imboccare una strada, senza restare fermi al bivio. E saltare, sì.

Una foto e 727 parole.

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