Con i miei vecchi compagni di scuola, all'inizio di questo mese di ottobre, abbiamo celebrato il cinquantesimo anniversario della fondazione del nostro I liceo classico, sezione B, dell'Istituto Massimiliano Massimo di Roma (sì, la stessa scuola dei Gesuiti frequentata da Mario Draghi, che però ci precedette di due cicli). Una celebrazione sobria, una cena alla quale io non ho potuto ovviamente partecipare viste le mie condizioni; però, se la montagna non va a Maometto... Così il pomeriggio, prima della cena, una delegazione di cinque "contubernales" (come ci chiamiamo fra di noi) è venuta a casa a trovarmi, portandomi in ricordo del grande evento una copia dell'ode al cinquantesimo, composta dal nostro vate, e lo scudetto portachiavi con su un lato le mie iniziali e, sull'altro, un "50" stampato in cifre dorate.
Che dopo tanto tempo ci si ritrovi ancora insieme può sembrare un po' patetico, una cosa alla Compagni di scuola di Carlo Verdone, ma non è proprio così, credetemi. La cosa è cominciata nel 2004, quando a uno di noi, trent'anni dopo la maturità, venne in mente che sarebbe stato bello ritrovarsi insieme. Con infinita pazienza riuscì a scovare gli indirizzi di posta elettronica di tutti, e rispondemmo tutti, anche quelli che stavano fuori Roma o all'estero, all'infuori di due. Andò a finire che alla fine ci ritrovammo insieme, con le nostre mogli (la classe era solo maschile) e figli. Fu una giornata memorabile, contro ogni previsione. E da allora non ci siamo persi più di vista. Sì, ogni tanto qualcuno s'è defilato, e poi è tornato, a qualcuno è capitato di offendersi, e qualcun'altro allora s'è rimboccato le maniche per ricucire il piccolo strappo. Ma alla fine, appunto, siamo rimasti tutti. Il che credo che sia, per molti versi, stupefacente.
Dalle email siamo passati, negli anni, al gruppo su Whatsapp, che è incredibilmente attivo. A me, che lo seguo con qualche fatica, capita spesso di ritrovarmi indietro di cento o duecento messaggi. Per lo più si tratta di cose "leggere", ma ogni tanto si discute anche di cose serie. Né sono mancati momenti tristi, come quando due di noi sono morti, che è stato per tutti noi, al di là del grande dolore, un po' come guardarsi allo specchio della vita, una terribile batosta. Credo sia stato lo stesso, per i miei compagni, quando s'è saputo della mia malattia. Ma nessuno, mai, s'è tirato indietro. Mi vengono a trovare regolarmente, mi scrivono, mi sostengono in molti modi. Fanno il tifo. E sento che un pezzetto del loro cuore è sempre con me. È bello.
(60-Avvenire.it/rubriche/Slalom)
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