La familiarità che abbiamo acquisito con l'ambiente digitale è così alta da suggerire a chi, nella Chiesa, si cimenta con la predicazione, di attingervi nuove metafore. A maggior ragione se si è, a propria volta, abituati a frequentare tale ambiente, come è il caso della clarissa Cristiana Scandura. Una riflessione sulla sua pagina Facebook ( bit.ly/3I5wYJ4 ), poi ripostata sui siti con cui abitualmente l'autrice collabora, evoca l'immagine di un «Dio sempre online» per introdurre qualche suggerimento intorno alla preghiera. «Il nostro rapporto con Dio», scrive, «non conosce problemi di linea, né interruzioni di sorta, se non... quelle deliberate da noi». Precisazione, quest'ultima, che viene colta da un commento sulla pagina social del blog "Vino Nuovo" ( bit.ly/3h0j4MA ), che ha ripreso il post, per sottolineare tanto la frequenza dei problemi di «connessione» con Dio, quanto la difficoltà di trovare, in quel caso, «tecnici dell'anima» competenti a ripristinarla. D'altra parte, quando suor Scandura entra nel merito della sua riflessione ci suggerisce di assumere un atteggiamento opposto a quello tipico della vita digitale. Questa si compie nel rumore, nella frammentarietà, nella continua distrazione dell'ultima notifica e nella preoccupazione di segnalare che anche noi ci siamo.
Alla preghiera invece ci si accosta – parola di clarissa – ponendosi «in umile atteggiamento di ascolto», scegliendo «un luogo silenzioso e appartato» che aiuti «la nostra fragile umanità, incline alla distrazione e deconcentrazione». Occorre poi placare «il turbine dei pensieri» che non hanno a che fare con la preghiera, e finalmente «prendere in mano la Parola di Dio e leggerne un brano, lasciando che Dio ci parli attraverso di essa, illuminando la nostra storia». L'ultimo suggerimento torna alla metafora digitale: quando sullo schermo il pallino verde «fa sapere che un utente è in linea», pensiamo «alla lampada del Santissimo», accesa giorno e notte, che dice che Gesù è sempre con noi. Vale la pena provarci.
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