L’agricoltura come attività fondamentale della vita di tutti noi. Anche, e soprattutto, nell’epoca della digitalizzazione e di internet. Perché, in fondo, dai campi (e dalle stalle) arrivano gli alimenti di cui tutti abbiamo bisogno. Verità inoppugnabile. Che dopo il Covid e una guerra nel cuore dell’Europa, diventa ancora più irrinunciabile. Con buona pace di chi promuove il cibo-spazzatura. Niente di bucolico, s’intende, ma tutto scientificamente e tecnicamente provato. Anche dal punto di vista economico e occupazionale, oltre che ambientale. Facendo attenzione a guardare all’agricoltura e alla produzione agroalimentare come a qualcosa di molto complesso e delicato: qualcosa che vale miliardi di euro (recentemente solo le esportazioni italiane nel mondo hanno superato i 60 miliardi), milioni di posti di lavoro (se si guarda a tutto il percorso che gli alimenti compiono dai campi alle tavole), e il nostro futuro anche dal punto di vista sociale.
Agroalimentare, dunque, da capire e prima ancora da spiegare bene. È ciò che vuole fare dal 31 marzo al 2 aprile prossimi la prima edizione di “ColtivaTo”, il Festival Internazionale dell’Agricoltura: tre giorni di incontri, conferenze, dibattiti, tavole rotonde, visite guidate, interviste, workshop, spettacoli teatrali, concerti e una rassegna cinematografica, per raccontare l’agricoltura nei luoghi aulici della prima capitale d’Italia. Organizzato a Torino, “ColtivaTo” ha l’ambizione di essere “un grande evento scientifico-divulgativo con cadenza biennale”, viene spiegato in una nota, sostenuto, oltre che dagli enti locali, anche da un gruppo importante di attori dell’economia tra cui Bayer Italia, New Holland, Intesa Sanpaolo, Camera di commercio, alcune società attive nella ricerca come Agroinnova e
Fondazione Agritech, ma pure Reale Mutua, Università e
Fondazione CRT. Tutti per provare a raccontare un settore che, pochi conoscono davvero e che non si può ridurre solo alla frutta e verdura acquistata nei mercati rionali oppure nei supermercati, così come ai prodotti tipici. Agricoltura anche come cultura della produzione e del consumo di cibo. Agricoltura che va in città, dunque, con l’obiettivo di raccontarsi in un modo “vero” e cioè per mezzo di una realtà «spesso diversa da quella immaginata» ma in modo rigoroso, «basato su fatti e numeri, da un punto di vista di economia e lavoro, scienza e tecnologia, senza dimenticare il cambiamento climatico e la sostenibilità».
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