Circa la pazienza
martedì 3 settembre 2024
Raffaele La Capria scrisse il suo primo libro “Un giorno d’impazienza” nei primi anni ’50. Era amico dei miei genitori, passava a trovarli e leggeva loro i capitoli che andava scrivendo. Abitavano vicino, in stanze che si sporgevano sulla scogliera, a Napoli. Da qualche parte c’ero anche io. È il suo libro che preferisco. C’entra l’amicizia coi miei, c’entra il titolo. Perché ho cercato e cerco di governare in me lo spunto dell’impazienza. Agge pacienza, abbi pazienza: è un antico invito alla sopportazione. Provo ad anticiparla, a farmi andare bene il contrattempo, la causa minore o maggiore che mi sta intralciando. Mi sono incuriosito delle forme assunte dalla pazienza. Evito sospiri, occhi al cielo, segni di scoraggiamento. Al loro posto subentra un’attenzione a rallentare i gesti, il regolamento della respirazione, l’abbassamento del tono di voce. In questo modo la causa esterna dell’impazienza sbiadisce, non più percepita. Traguardo è un comportamento sorvegliato. In ultimo la pazienza può diventare uno stile. L’ho tentata in gioventù, a contrasto delle agitazioni intorno. L’ho ritrovata in altri appuntamenti difficili. Mi ha tenuto compagnia durante le restrizioni dell’epidemia. Non la considero una virtù, ma un adattamento occasionale, a discrezione della circostanza. Il libro di La Capria, il cognome De Luca del protagonista, eliminato poi in edizioni successive, mise nel mio ordine del giorno la parola impazienza e i suoi derivati da correggere. © riproduzione riservata
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