Alle tavole sono rimproverato perché sto zitto. Viene inteso come disinteresse, mancanza di partecipazione. È il mio modo di stare attento. Non è per me passivo stare in ascolto accanto a commensali che conversano. Così assorbo racconti, punti di vista, desideri, idee. Non che prenda appunti: il fatto è che per me nessuna conversazione è futile, ognuna mette in gioco la persona che si esprime. Se sento parlare di sconosciuti, mi riguarda ugualmente la loro comparsa nel discorso. Provo a immaginarli, come i personaggi di una storia. L’indole mi rende taciturno dall’infanzia. Oggi da scrittore invitato a parlare, non mi sottraggo e svolgo i miei racconti. Approfitto della circostanza favorevole di persone venute apposta per sentire. Al di fuori di questa formula sento poco il bisogno di interloquire. Secondo il Salmo 65, canto attribuito a Davide, il silenzio è addirittura una lode per la divinità. Non arrivo a tanto e non concordo con il detto secondo il quale il silenzio è d’oro. Per me è solo una modalità di percezione di ciò che avviene intorno. Nella casa tra i campi sono abituato al monologo del fuoco nel camino, a quello del vento tra i cespugli, a quello della pioggia sulle tegole del tetto. Sono voci antiche, non rumori. Raccontano partenze, distanze superate. Arrivano da chi le accoglie zitto.
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