
Ho sempre pensato che Francesco Totti fosse uno degli ultimi calciatori capaci di pensiero critico e di restare lontano dal mainstream. Lo testimonia, prima di tutto, la scelta, controcorrente, romantica e fuori dal tempo, di non lasciare mai Roma e la Roma, in virtù di un amore immenso per la sua città e per il suo club che lo ha portato a rinunciare a opportunità che gli avrebbero permesso di guadagnare e vincere molto di più di quanto abbia fatto. Poi quella sicurezza, al confine con la strafottenza, espressa in cinque parole: “Mo’ je faccio er cucchiaio” sussurrate a Di Biagio, avvicinandosi all’area di rigore olandese, il 29 giugno 2000, semifinale del campionato Europeo. E ancora, sedici anni dopo, la sua capacità, genuina, testarda, orgogliosa, di dimostrare quanto ancora sentisse di poter dare alla Roma, prima sfidando l’ordine costituito e organizzando una propria intervista con RaiSport nel bel mezzo di Trigoria, la casa sportiva dei giallorossi, per spiegare quanto si sentisse messo ai margini dal suo club, e poi sul campo, in quell’indimenticabile Roma-Torino dell’aprile 2016, quando tenuto in panchina fino al quarantunesimo della ripresa, entrò sul 1-2 per i granata e segnò, nei quattro minuti restanti, due reti che ribaltarono il match.
Totti, per la cronaca, ai tempi stava per compiere quaranta anni. Ho pensato anche che Totti non potesse più temere nulla, dopo aver partecipato al suo funerale da vivo quel 28 maggio 2017, quanto tenne inchiodati sugli spalti dello stadio Olimpico sessantamila tifosi romanisti e, davanti alla televisione, milioni di italiani, nel giorno dell’addio più triste, struggente e al tempo stesso bello della storia del calcio, storica occasione in cui il post-partita fece più ascolti della partita e piangevano tutti, sugli spalti e sui divani di casa. Insomma, ho sempre visto la personalità di Totti saper emergere contro tutti e contro tutto, l’ho sempre visto navigare, da capitano, a testa altissima quando era facile, ma soprattutto quando era difficile.
Mi auguro che succeda la stessa cosa adesso, rinunciando alla sua annunciata presenza come ospite del VI International Bookmakers Rating Award, che si terrà il prossimo 8 aprile, in Russia. Un premio legato alle scommesse sportive, a Mosca: l’evento più sbagliato nel posto più sbagliato. Confido che Francesco Totti possa ancora una volta dimostrare quell’autonomia di pensiero che lo ha fatto diventare uno dei calciatori più amati della storia del calcio italiano e possa farlo non solo rifiutando di partecipare a questa inopportuna trasferta, ma andando oltre e rompendo il fronte degli ex calciatori che prestano la loro immagine per chi opera nel settore delle scommesse. In queste settimane si parla di nuovo con forza del possibile ritorno delle sponsorizzazioni per le società di scommesse sportive (un po’ come se tornassimo a vedere i marchi del tabacco sugli alettoni dei bolidi di Formula 1) e della loro libera pubblicità, esponendo tutti, minori inclusi, all’apologia della causa della ludopatia, ovvero la dipendenza patologia dal gioco d’azzardo che distrugge la vita di intere famiglie. Coraggio Capitano, bastano cinque parole: “Mo’ je dico de no”.
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