sabato 16 novembre 2019
Ci si può scommettere che ognuno di noi, se gli venisse chiesto, potrebbe fare un lungo o anche lunghissimo elenco di "cattivi", notori o che conosce personalmente. Non solo criminali noti alle cronache, o personaggi storici ricordati per le loro efferatezze, ma anche, magari, il vicino di casa dal cuore di pietra, l'amico che un giorno ti ha tradito, il Paperon de' Paperoni di turno che pensa solo ai suoi soldi (e che forse sotto sotto invidiamo). Un elenco del quale abbiamo quasi bisogno, spesso un bisogno disperato, per auto-rassicurarci, per dirci che alla fine noi avremo un premio, anzi "il" premio, e loro invece, i cattivi, no. Ma il problema, per così dire, è che il Signore invita tutti al suo banchetto, non fa distinzioni. Buoni e cattivi, che così a quella festa possono finire per ritrovarsi gomito a gomito. E questo non ci deve meravigliare, perché Dio è infinita "gratuità", di fronte alla quale chi mette al primo posto i propri interessi e va a chiudersi nelle "piccolezze" compie un peccato.
Ce l'ha ricordato qualche giorno fa Papa Francesco, nell'omelia della consueta Messa mattutina a Santa Marta. E, se qualcuno si sente sorpreso dall'accostamento dei "giusti" ai "cattivi", forse sarebbe meglio che andasse a rileggersi il Vangelo. Perché, come ha spiegato Bergoglio commentando il passo evangelico dell'uomo che, volendo dare un ricevimento in grande stile ma vedendo rifiutato il suo invito con diverse scuse, manda i servi a chiamare i poveri e gli storpi perché riempiano la sua casa, questo è ciò che accade durante la storia della salvezza, oltre che la descrizione del comportamento di tanti cristiani. «La cena, la festa, è figura del cielo, dell'eternità con il Signore», ha infatti spiegato. «Il nostro Dio ci invita sempre così, non ci fa pagare l'entrata. Nelle vere feste, non si paga l'entrata: paga il padrone, paga quello che invita». Ma anche «davanti a quella gratuità, a quella universalità della festa», dove si conoscono persone nuove o si incontrano persone che non si vorrebbero vedere, c'è chi assume «quell'atteggiamento che rinchiude il cuore: "Io non ci vado. Preferisco stare da solo, con la gente che piace a me, chiuso"». Questo è «il peccato; il peccato del popolo di Israele, il peccato di tutti noi», afferma Francesco. «La chiusura. "No, per me è più importante questo che questo. No, il mio". Sempre il mio».
Un rifiuto che, alla fine, rivela disprezzo verso chi invita quasi a dire al Signore: «Non disturbarmi con la tua festa. Un atteggiamento che «è chiudersi a quello che il Signore ci offre: la gioia dell'incontro con Lui». È una scelta di fronte alla quale, nella vita, ci si può trovare molte volte, la scelta tra l'andare «a incontrarmi con il Signore o chiudermi nelle mie cose, nel mio interesse... Per questo il Signore, parlando di una delle chiusure, diceva che è molto difficile che un ricco entri nel regno dei cieli. Ma ci sono ricchi bravi, santi, che non sono attaccati alla ricchezza. Ma la maggioranza è attaccata alla ricchezza, chiusi. E per questo non possono capire cosa è la festa». Davanti al nostro rifiuto, allora, «la reazione del Signore è decisa: vuole che alla festa venga chiamata ogni sorta di persone, condotti, addirittura costretti, cattivi e buoni. "Tutti sono invitati. Tutti, nessuno può dire: io sono cattivo, non posso... No. Il Signore perché tu sei cattivo ti aspetta in un modo speciale"». Proprio come il padre con il figliol prodigo che ritorna a casa: non lo lascia neanche parlare e lo abbraccia: «Il Signore è così. È la gratuità». Accettiamo, allora, l'invio del Signore, e impariamo a riconoscerlo. E, soprattutto, buttiamoci alle spalle le nostre "piccolezze". Magari i cattivi siamo proprio noi.
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