Durante il laboratorio di giornalismo religioso che da diversi anni tengo alla Scuola di giornalismo dell'Università Cattolica non manca mai uno studente che chieda se per fare questo mestiere sia necessario «essere cattolici"». Sono molte le articolazioni del "no" con il quale rispondo: propongo ad esempio la distinzione tra «giornalisti religiosi» e «vaticanisti» e tra editori religiosi e non. Con l'avvento del digitale si è aggiunta la sottolineatura di come uno stesso giornalista possa, su blog e social network, dare spazio a una soggettività religiosa maggiore di quella che, sulle testate per le quali scrive e in base al suo ruolo, gli è consentito di esprimere. Di tutto ciò, nelle scorse ore, ho trovato un esempio minimo ma virtuoso, e dunque mi affretto a riportarlo.
Sul Sir del 18 aprile ( tinyurl.com/ycaneaka ) compare una notizia stringata, costruita principalmente su fonti ufficiali. Ne è protagonista l'arcivescovo di Berlino Einer Koch, che insieme alla direttrice della Caritas Ulrike Kostka ha effettuato «uno stage infermieristico presso il Centro Caritas per anziani St. Konrad» della sua diocesi. In concreto, ha «lavato i piedi, imparato a rifare i letti, accompagnato anziani nelle loro cure», in modo da conoscere per esperienza diretta «le esperienze e le sfide della pratica infermieristica» geriatrica. A rilanciare la sobria cronaca sul suo profilo Facebook è la collega che con tutta probabilità l'ha redatta, Sarah Numico, che collabora da anni con il Sir, oltre che con altre testate specializzate, dopo aver molto e ben lavorato al Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa (Ccee), a San Gallo. Lo fa con accenti di contagiosa passione: «Questa è la Chiesa che amo e di cui sono fiera», è l'attacco del post, che prosegue evidenziando, con parole altrettanto ardenti, il primato della carità per una vita secondo il Vangelo. Sembra proprio una professione di fede.
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