
La saggezza di Ben Sira assomiglia un po’ a quella dei filosofi pagani, dei pensatori meno cristiani, gli epicurei amanti del piacere. «Carpe diem», dicono costoro con le parole di Orazio – «cogli l’attimo» –, mentre nel suo libro, uno dei più recenti dell’Antico Testamento, il nostro saggio ebreo ci raccomanda: «Non privarti di un giorno felice, non ti sfugga nulla di un legittimo desiderio» (Sir 14,14). Sulla terra non esisterebbe dunque che una sola saggezza, quella di saper trarre profitto dal giorno presente?
La somiglianza è, com’è ovvio, solo apparente, poiché le due tradizioni non hanno la stessa definizione di giorno felice: per la sapienza biblica, non può trattarsi di una ricerca egoistica, autocentrata, bensì di una felicità che passa attraverso il dono di sé, l’apertura a Dio e agli altri. Ma il tempo in cui donarsi, il tempo in cui essere felici, il momento in cui Dio ci viene incontro… è sempre oggi. Ieri non esiste più, domani non c’è ancora: la vera felicità va cercata nel reale, e il verbo amare si coniuga bene solo al presente.
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