Nel 1948, da poco finita la seconda Guerra Mondiale, una nave carica di sogni e di speranze, partì dalla Nuova Zelanda. Bisognava navigare attraverso tutto quel mondo che si era spinto così vicino all'autodistruzione per arrivare a Londra, dove il 29 luglio sarebbero ri-cominciati i Giochi Olimpici. Fu un'edizione molto particolare, messa in piedi dodici anni dopo Berlino 1936, fra mille difficoltà e senza la presenza delle nazioni che avevo perso la Guerra. A Londra ci fu un'unica concessione al romanticismo: per l'ultima volta fecero parte del programma olimpico i concorsi artistici (architettura, letteratura, pittura, musica e scultura). Quella nave che aveva a bordo la delegazione neozelandese ci mise otto settimane per arrivare. Ovviamente sul piroscafo ci si allenava: esercizi ginnici sulle scalette del ponte superiore, corse a ostacoli in stiva, pesi un po' improvvisati (qualche volta un compagno di squadra messo sulle spalle si trasformava in un bilanciere) per mantenere uno stato di forma decente.
Su quella nave c'era una ragazza bellissima, dal nome esotico: Ngaire Galloway. Sì, una ragazza. Letteralmente. L'unica donna. Ngaire era una nuotatrice di ventitré anni che non sarebbe passata alla storia, ma che è una delle pochissime testimoni viventi che ci possono raccontare di quelle gare svoltesi nel Tamigi. Ngaire Galloway è la più anziana atleta neozelandese olimpica vivente e pochi giorni fa il suo cuore è quasi esploso dalla gioia. Con le sue stampelle e un sorriso che bisognerebbe vederlo, ha salutato la nipote diciassettenne, Gina Galloway, che stava salendo su un modernissimo aereo, destinazione Buenos Aires. Solo tredici ore di volo per Gina prima di atterrare in Argentina ed essere una delle quattro atlete neozelandesi che rappresenteranno il Paese ai Giochi Olimpici giovanili. Non si parla quanto si dovrebbe di questa straordinaria intuizione che il Comitato Olimpico Internazionale ha messo in moto da otto anni. Una vera e proprio replica dei Giochi riservata ai ragazzi tra i 13 e i 18 anni. Dopo Singapore 2010 e Nanchino 2014, il 6 ottobre scorso è partita la terza edizione estiva, questa volta a Buenos Aires.
La cerimonia di apertura, emozionantissima, per la prima volta non si è tenuta in uno stadio, ma in pieno centro, proprio ai piedi del famoso Obelisco di Plaza de la República che si è trasformato, grazie a un fantastico gioco di luci, in corsia di canottaggio, pista di atletica e poi di ciclismo per essere scalato in verticale, oltre 67 metri di altezza, da atleti acrobati. Una metaforica scalata verso il cielo di Olimpia che conferma come questo evento sia uno straordinario laboratorio. Questi Giochi per atleti minorenni, la cui vita verrà segnata da un indelebile ricordo, ci raccontano di qualcosa che verrà, che ancora non riusciamo a vedere, una specie di ricamo imbastito che ci fa intuire una meravigliosa trama.
L'Italia è volata in Argentina con 84 giovani atleti e già le prime medaglie sono arrivate, ma al di là del risultato sportivo resta l'idea che questi Giochi Olimpici giovanili siano uno squarcio sul futuro, un disegno che dobbiamo ancora scoprire. Come quei tappeti persiani che abili artigiani compongono annodandoli a faccia in giù e che solo quando li giri svelano finalmente la loro bellezza mozzafiato. Sono nodi sulla parte dietro del tappeto questi 3.200 ragazzi e uno di essi è una ragazzina neozelandese con un'eredità preziosa, che arriva da settant'anni fa, quando il mondo si stava a fatica risollevando dopo aver tentato il suicidio. Un giorno si girerà il tappeto e godremo di nuovo di questa bellezza, di questi sorrisi, di questa gioia. Anzi, un pezzo di tappeto lo ha già girato il Cio, proprio due giorni fa, annunciando la sede dei prossimi Giochi Olimpici giovanili, quelli del 2022: Dakar, Senegal. Sarà la prima volta assoluta per i Cinque Cerchi nel continente africano. Una scelta di coraggio, avanguardia e speranza. Insomma, un pezzo di questo mondo abbruttito (molto spesso rappresentato dallo sport) continua a lottare, con ostinazione e controcorrente.
Provate, se vi capita, a guardare qualche volto dei giovani atleti che sono a Buenos Aires. Potete anche dimenticarvi delle loro performance sportive, guardate i loro occhi e la luce che c'è dentro. Riuscirete a intravedere la parte giusta e bella del tappeto. O almeno imparerete a capire, questo benedetto tappeto, da che parte bisogna guardarlo.
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