Caro Avvenire, se c’è qualcuno che può convincere Joe Biden a ritirarsi dalla corsa per la presidenza degli Stati Uniti, questa è sua moglie Jill. Per questo dopo il dibattito con Donald Trump tutta l'attenzione è puntata su di lei.Si parla molto della possibile malattia del marito, ipotizzando il morbo di Parkinson. Se fosse così, dovrebbe fare un passo indietro. Tra i possibili sostituti, il mio sogno è Michelle Obama. In un momento così tremendamente delicato...
Celso Vassalini
Caro Vassalini, da osservatore a distanza delle cose americane, mi permetto di dissentire dal coro di coloro che ritengono Joe Biden incapace di reggere per il prossimo quadriennio, destinato a sicura sconfitta il 5 novembre e, dunque, moralmente obbligato a rinunciare alla candidatura. Certo, il presidente americano, 82 anni da compiere subito dopo il voto, non è un giovane pieno di energie né ha la forza propositiva di un quarantenne che guarda al futuro. Dal dibattito di Atlanta è emerso con evidenza che si affrontano due leader che gestiscono il presente (Donald Trump ha 78 anni) senza proporre idee su come plasmare l’avvenire (nessuno dei due ha citato l’intelligenza artificiale, solo per fare un esempio). Tuttavia, il tema della salute del capo della Casa Bianca non aveva mai lasciato la campagna elettorale ed è stato certamente sfortunato che un giorno di particolare affaticamento sia coinciso con la data del faccia a faccia.
Biden ha viaggiato e preso decisioni fino alla vigilia del confronto con il rivale, sicuramente più brillante ma non per questo rassicurante nella sua serie di bugie o falsità affermate con grande nonchalance. Non bisogna dimenticare perché Joe Biden si è aggiudicato la nomination quattro anni fa, se si vuole comprendere il motivo per cui risulta improbabile una sua sostituzione in corsa (a meno di un completo tracollo fisico). Il Partito democratico è diviso in due anime - moderata e radicale - che non trovano attualmente una figura di mediazione all’infuori dell’anziano e saggio navigatore della politica, capace di non dispiacere a nessuno dei due fronti. D’altra parte, succede qualcosa di simile nel Partito repubblicano, di fatto azzerato dal cesarismo di Trump e incapace di proporre un’alternativa credibile al tycoon.Inutile quindi invocare un governatore di successo (da Gavin Newsom a Gretchen Whitmer) come candidato improvvisato: non solo non avrebbe la legittimazione delle primarie popolari, bensì porterebbe anche divisione nell’elettorato e spalancherebbe le porte al trionfo dell’ex presidente.
Michelle Obama forse potrebbe superare queste difficoltà interne, ma non sembra disponibile e non è detto che convincerebbe la maggioranza dei votanti. Rimarrebbe la vicepresidente Kamala Harris, obiettiva delusione di questa legislatura e pertanto scelta non vincente.
Biden dovrebbe piuttosto designare un altro numero due (magari Whitmer) con una mossa a sorpresa che sposti l’attenzione dalla sua débâcle televisiva e rilanci l’enfasi sul valore e l’affidabilità della squadra che lo circonda (e del successore, se durante il nuovo mandato fosse necessaria una staffetta). Perché, ovvio, è il presidente che decide e risponde direttamente al Paese, ma l’Amministrazione resta fondamentale per ottenere risultati importanti. Quella uscente si è ben comportata, anche sul fronte internazionale. Per questo non hanno senso i timori che Russia e Cina si rallegrino per un potenziale capo della superpotenza appannato e poco energico. Blinken, Sullivan, il Pentagono sono garanzie di continuità e determinazione in politica internazionale (tra errori e successi).
Alla fine, i cittadini sceglieranno sulle emozioni del momento. Novembre è lontano e tante cose potrebbero cambiare (lo si è già visto ieri con la sentenza della Corte Suprema che riconosce a Trump una parzialità immunità per le accuse sull’assalto a Capitol Hill), anche se il siero della giovinezza sicuramente non arriverà prima dell’Election Day...