Distrattamente una sera, il telecomando in mano, cerco qualcosa da vedere in tv. Calcio, dibattiti stanchi, gialli già visti. Spot ossessivi – quel divano lo citerei per stalking, tanto martella, incessante: sempre in saldo, sempre l’ultimo giorno di saldo.
Mi fermo su delle immagini in bianco e nero su Raitre. “Bellissima”, Luchino Visconti, 1951. Non riesco a staccarmene. Non è solo la faccia di Anna Magnani, né la sua povera ostinata speranza di una vita diversa – ricca, famosa – per la sua bambina, quella bellissima bambina che veste e pettina come una bambola. Sono anche i particolari, gli ambienti, a colpirmi profondamente. La casa romana della famiglia Cecconi: le pareti sbrecciate, la cucina misera, le grida dai balconi del caseggiato popolare. 1951, quanto, a sei anni dalla guerra, erano ancora poveri, tanti italiani. Frigoriferi, lavatrici? Dai Cecconi si vede una piccola dispensa, con poche preziose uova.
C’era, sì, una Singer, di quelle nere, con cui le donne si cucivano i vestiti. Design, domotica, wifi, web – ma quanti secoli sono passati dal 1951? E quanto ricchi siamo diventati? Eppure mi accorgo di stare a guardare con un’indicibile, quasi, invidia quel mondo che rinasceva da una terribile guerra: vitale, affamato, essenziale. Niente stilisti, niente influencer, happy hour, week end, slow food. Slow food? Il poco cibo lo si mangiava in fretta, prima che se lo mangiasse un altro. L’auto? Il massimo era avere una Lambretta, come Walter Chiari nel film.
Sulle scale del palazzo dei Cecconi si intravvedono dei bambini seduti sui gradini, in una giornata torrida. Quanti, quanti bambini, incredibile. E senza tv, senza videogiochi, che facevano d’estate? Giocavano nei cortili polverosi, o se ne stavano a sera sui gradini di casa, ad aspettare che la mamma chiamasse per cena. Forse in quel momento di noia avevano il tempo per immaginare, per sognare. Cosa rara oggi: web, social, e per i bambini più fortunati al pomeriggio lezioni di tedesco, recitazione, judo – qualsiasi cosa per non lasciarli soli, nelle case senza fratelli. Che bello era avere dei fratelli e giocare nei cortili con un niente, con una corda, a nascondino, urlando a squarciagola: “Tana, libera tutti!”.
Certo, rinasceva dopo tanta guerra e fame il mito della vita da star. La signora Cecconi ci cade e ci butta dentro la sua Maria, la trascina a Cinecittà in infinite code in cui mille altre donne pretendono, per le figlie, la vita che non hanno avuto. E che pena quel tornare della madre a casa a piedi, di notte, con la piccola che sfinita le si addormenta in braccio. E quel provino in cui la figlia scoppia a piangere e il regista e gli altri in sala ne ridono, ridono fino a perdere il fiato.
Maddalena Cecconi capisce in che inganno è caduta e rifiuta il contratto tanto desiderato: «Scusate, per noi lei è molto bella», sussurra a bassa voce al produttore, tenendo fra le braccia la bambina che dorme. Che storia. Lo facessero vedere nelle scuole, “Bellissima”, ai ragazzini che per diventare famosi farebbero qualsiasi cosa.
Ma, quella piccola attrice? Tina Apicella, si chiamava: classe 1946. Che farà oggi? Digiti sul web, curiosa. Strano: nulla, o quasi. Chiuso col cinema. Un sito afferma che dal 1958 non c’è più traccia di lei. Forse i genitori, come la mamma del film, l’hanno portata via dal palcoscenico? Forse lei stessa, adulta, ha scelto un altro destino? Nemmeno più un’intervista, non una foto. Oggi, se è viva, ha 77 anni. La bambina di “Bellissima” sembra essere scappata dentro a una vita semplice, anonima. Come se avesse capito tutto, tanto tempo prima.
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