Baudelaire e Proust nell'analisi inesauribile di Walter Benjamin
venerdì 12 dicembre 2014
Ci sono critici per i quali gli scrittori e le opere letterarie sono un oggetto di studio che non modifica la loro mente né interferisce con i loro metodi di indagine. E ci sono critici (più rari) la cui mente funziona come quella degli autori che leggono, o entra in concorrenza e competizione con loro sul loro stesso terreno. Walter Benjamin è uno degli esemplari estremi di questa seconda categoria. Come lettore di Baudelaire e di Proust, che sono stati per lui autori inesauribili, è a sua volta un commentatore inesauribile. Se la maggior parte dei suoi scritti sono incompiuti o frammentari, non è solo a causa delle difficili, precarie condizioni di lavoro a cui le circostanze lo costrinsero. Nonostante la perfetta originalità della sua scrittura (che mette a dura prova i traduttori) Benjamin spesso evita il saggio critico perfetto e compiuto. Si sente più a suo agio nello stile della glossa e dell'aforisma, forme che gli vengono dalla tradizione talmudica. La raccolta di scritti curata da Francesco Cappa e Martino Negri, Proust e Baudelaire (Raffaello Cortina Editore, paine 270. euro 16), mostra il grande critico al lavoro su due classici della modernità, da un lato affini e dall'altro divergenti. Benché abbia teorizzato in un famoso sonetto che il mondo è un tessuto di “corrispondenze”, Baudelaire ha uno stile costruito sullo shock, stile prevalentemente aggressivo, isterico, blasfemo. Il suo tempo è un tempo che brucia. Il suo istinto antiborghese gli fa amare i diseredati. Il suo ambiente elettivo è la bohème rivoltosa. Benjamin osserva che avrebbe potuto fare proprie le parole del suo coetaneo Flaubert: «Di tutta la politica io non capisco che una cosa, la rivolta!». Al tempo presente Proust gira invece le spalle. È l'altra faccia della modernità. La sua prosa è nemica delle interruzioni. La Recherche, suggerisce Benjamin, dissolve il genere romanzo e lo fonda su nuove basi: è un caso unico che non poteva avere eredi e che ha ispirato più critici che narratori. La sua è una «sintassi delle frasi interminabili», uno straripante Nilo del linguaggio. Questo «irriducibile frequentatore di salotti» che appassionatamente analizza lo snobismo, mostra l'intransigenza di giudizio «dell'uomo superiore alla propria classe». Eppure in lui la critica sociale non ha mai ucciso l'amore della felicità.
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