Ieri: puliti, forti e vincenti. Ora: brutti, un po' cattivi, e perfino sporchi. È questa l'ultima immagine scattata a Palermo alla Nazionale di Roberto Mancini: lo spogliatoio del Barbera ridotto a una discarica. Ma siamo sicuri che, anche in preda alla furia più cieca per la debacle con la Macedonia del Nord, Florenzi (cito “core de nonna” per tutti) e compagni abbiano potuto compiere un simile scempio? Non è forse più credibile che trattasi di piccola faida locale per la mancata concessione delle maglie da parte degli azzurri tristi solitari e fuori dai Mondiali? Il rifiuto potrebbe aver fatto scattare il blitz vendicativo nello spogliatoio... Nel Paese dei misteri la verità non è concessa. Mentre ora concediamo un'altra chance alla premiata ditta Mancini&Vialli che tra due anni ci riproveranno con gli Europei e tra quattro con i Mondiali. Il calcio è come il buon vino (Mancio e Gianluca date retta, sono un Sassicaia) e bisogna avere la pazienza di aspettare che le stagioni facciano il loro corso prima di arrivare a un prodotto eccellente. Ma noi purtroppo siamo i maestri dell'impazienza, un popolo di tutti ct con scarsissima memoria e che dimentica sempre troppo in fretta: tipo un titolo Europeo vinto, dopo mezzo secolo, l'estate scorsa. Chi non scorderà più il Senegal è Mohamed Salah. L'ex bomber di Fiorentina e Roma, ora al Liverpool, per la seconda volta con la maglia del suo Egitto deve arrendersi ai senegalesi che, ai rigori, prima gli hanno strappato la Coppa d'Africa e ora anche il pass per il Mondiale del Qatar. A ferire il fuoriclasse egiziano, più del secondo ko di fila con il Senegal, è stata la notte folle di Dakar. Episodi di razzismo allo stadio, intimidazioni con lancio di bottiglie e sassi durante il riscaldamento, specie contro Salah, che, all'ennesima lotteria dei calci di rigore, sarebbe stato accecato da un raggio laser proveniente dalla Curva. Il presidente della federcalcio egiziana, Jamal Allam, ha denunciato le rappresaglie senegalesi e ora speriamo che non scoppi un'altra guerra, in questo caso del pallone, anche in Africa. Il n.1 della federcalcio egiziana è lì fisso sulla sua poltrona dal 2013, da prima dell'inizio della nuova dittatura di al-Sisi, il quale, dopo averci negato la verità sull'omicidio del nostro Giulio Regeni (assassinato al Cairo nel 2016) ora continua a tenere in “ostaggio” Patrick Zaki. Il 30enne attivista, iscritto all'Università di Bologna, dopo aver subito ingiustamente 22 lunghissimi mesi di prigione è ancora in attesa di giudizio: la prossima udienza del 5 aprile potrebbe non essere l'ultima. Ma Zaki resiste e dalle pagine di Sette ricorda che in cella, recluso assieme ad altri 40 detenuti, a salvarlo è stato il calcio. «Ero in cella con un uomo irritato dalla mia presenza ma che aveva una radiolina da cui ascoltare le partite». La curiosità di conoscere il risultato dello Zamalek, la sua squadra del cuore, ha tenuto sempre accesa nella testa di Zaki quelle due parole vitali: speranza e libertà.
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