Si fa presto a dire semplicemente «polli». Così come si fa in fretta a pensare ad un settore che gli analisti dell'agroalimentare mettono nella fila di quelli irrimediabilmente in crisi: fonte di guai più che di nuovi mercati, in cerca di un'identità perduta e alle prese con un tracollo irreparabile dei consumi. L'avicoltura italiana, invece, canta vittoria, anche se non si nasconde che vi siano ancora alcuni problemi da risolvere dopo la bufera mediatica e di mercato dovuta all'influenza aviare che ha sconvolto la domanda, tagliato i prezzi e messo a serio rischio il settore.
Ma i dati parlano chiaro: il 2007 è stato per l'avicoltura l'anno della ripresa. E a dirlo sono proprio loro: gli allevatori.
Stando ai numeri, diffusi dall'Unione Nazionale dell'Avicoltura, il fatturato del settore ha infatti raggiunto i 5.300 milioni di euro (3,9 miliardi per le carni e 1,4 miliardi per le uova). Una cifra da capogiro che, tuttavia, deve essere ricondotta ai suoi termini reali tenendo conto dell'inflazione. Il peso dei consumi di carni di polli sul paniere degli italiani è, quindi, fermo ai livelli del Duemila.
Questo però non toglie il sorriso agli allevatori visto che è possibile parlare addirittura di «rinnovata fiducia» da parte dei consumatori verso i loro prodotti, almeno fino ad oggi. Il motivo? A quanto sembra il merito va all'etichettatura di origine che è riuscita a parlar chiaro sulla bontà dei polli nostrani ed a rassicurare della loro salubrità. In questo modo, i consumi si sono riavvicinati a quelli registrati nel 2004, lasciando alle spalle la crisi della seconda parte del 2005 e del primo semestre 2006 frutto di una «ingiustificata» psicosi collettiva che ha quasi travolto il settore.
Il risvolto, positivo, di tutto ciò è stata la crescita della produzione fino a 1,123 milioni di tonnellate, con un +7,1% rispetto al 2006. Ma, se gli ultimi mesi sono stati migliori rispetto a prima, le prospettive del 2008 sembrano non essere poi così tanto rosee. Colpa dei prezzi, cresciuti del 14,2%, e dei costi di produzione che, già dall'estate dello scorso anno, sarebbero lievitati a dismisura a causa della crescita delle quotazioni delle materie prime (granturco, grano e soia) che costituiscono l'alimentazione del pollame. Ciò che gli avicoltori adesso temono, è un appesantimento del mercato e, in sostanza, una nuova diminuzione della domanda. Una tendenza che, probabilmente, non potrà essere fermata semplicemente dall'appello dei produttori nei confronti dei consumatori, ai quali è stato chiesto di manifestare l'apprezzamento verso i prodotti avicoli italiani. Nuove misure di promozione e nuovi accordi commerciali potrebbero sostenere gli scambi. Il rischio di un ritorno della crisi c'è, e sarebbe un colpo basso per un comparto che effettivamente si è dato da fare per dimostrare la correttezza del suo operato e che, fra l'altro, con il suo giro d'affari è uno dei pilastri della zootecnia dello Stivale e dell'agroalimentare in generale.
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