La notizia del Nobel per la Pace 2024 assegnato a Nihon Hidankyo, l’associazione degli hibakusha – i sopravvissuti alle bombe nucleari americane su Hiroshima e Nagasaki –, ha riportato in questi giorni in primo piano i volti di quanti ormai da ottant’anni portano nel loro stesso corpo le conseguenze di un orrore troppo a lungo dimenticato e il loro grido per la messa al bando delle armi atomiche. Pochi, però, sanno che tra gli hibakusha ci sono stati anche tanti cattolici giapponesi e qualche dozzina di missionari stranieri che si ritrovarono a condividere con le comunità di Hiroshima e Nagasaki il dramma del bombardamento atomico. Il nome più noto è quello del gesuita spagnolo padre Pedro Arrupe, che sarebbe poi diventato vent’anni dopo preposito generale della Compagnia di Gesù: dal 1942 era il maestro dei novizi nella casa di Nagatsuka, alla periferia di Hiroshima. Il 6 agosto 1945 fu in prima linea nel provare a medicare con quel poco che avevano a disposizione le migliaia di feriti lasciati dietro di sé dall’esplosione. «Facemmo l'unica cosa che si poteva fare in presenza di un tale massacro di massa – ricordava padre Arrupe –. Ci inginocchiammo e pregammo per avere una guida, poiché eravamo privi di qualsiasi aiuto umano». Altro grande testimone della tragedia di Hiroshima fu il gesuita tedesco Hugo Lassalle, scomparso nel 1990, che quando l’atomica scoppiò si trovava alla chiesa di Noboricho, ad appena 1,2 chilometri di distanza dall’ipocentro, cioè nella zona maggiormente devastata. Fu lui a promuovere la costruzione della Cattedrale dell’Assunzione come chiesa “della memoria per la pace nel mondo”, un segno che fu ultimato già nel 1954 e visitato da Giovanni Paolo II nel 1981. Quanto a Nagasaki, la città del secondo ordigno nucleare americano sganciato il 9 agosto 1945, va ricordato che era ed è tuttora il cuore della piccola comunità cattolica giapponese. Non a caso la sua cattedrale di Urakami custodisce tuttora il volto di una Madonna lei stessa hibakusha: dopo l’esplosione della grande statua della Vergine che sorgeva accanto all’altare è rimasto solo il viso, sfigurato dalle fiamme. A Nagasaki, poi, è legata anche la grande figura di Takashi Paolo Nagai, il medico cattolico che nello sterminio di quel giorno perse l’amatissima moglie Midori e – nonostante fosse già malato di leucemia – si consumò nel portare aiuto ai malati e a predicare la forza del perdono come risposta al male, morendo infine nel 1951. Di Takashi Paolo Nagai è in corso la causa di beatificazione, aperta nel 2021 da monsignor Joseph Mitsuaki Takami, oggi vescovo emerito di Nagasaki, lui stesso hibakusha dal momento che sua madre era incinta di tre mesi quando l’atomica cadde sulla città. Queste e tante altre esperienze, dunque, hanno fatto sì che la Chiesa cattolica giapponese sia stata costantemente al fianco dei sopravvissuti dell’atomica nel loro impegno per la promozione della pace. E non a caso – proprio nel solco di questo cammino, durante il suo viaggio apostolico in Asia del 2019 – papa Francesco a Hiroshima ha pronunciato le parole più forti nella storia del magistero della Chiesa sulle armi nucleari: «L'uso dell'energia atomica per fini di guerra, e anche il suo possesso, è immorale» ha detto quel giorno parlando proprio davanti agli hibakusha nel Parco della pace. Forti di questo anche le diocesi cattoliche di Hiroshima e Nagasaki, insieme a quelle americane di Santa Fè e Seattle, oggi stanno portando avanti un’iniziativa chiamata “Partnership per un mondo senza armi nucleari”. Perché quanto già affermato da 94 Paesi firmatari del Trattato per la messa al bando delle armi nucleari approvato dall’Onu nel 2017 diventi presto davvero una norma vincolante per tutti.
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