Non mi sono mai occupato di antisemitismo, quasi che non pensarci fosse un modo per allontanarlo nel passato e impedirne l'esistenza nel presente. Ma troppi episodi recenti hanno provato che la criminale paranoia antisemita ritorna, prima o poi, ogni volta che la xenofobia, fenomeno mai superato, diventa razzismo esplicito, pubblicamente conclamato e attivo. Purtroppo il terreno favorevole a razzismo e antisemitismo era anche preparato dal diffondersi della criminalità di vario genere, del culto perfino estetico della violenza, la cui diffusione è testimoniata, oltre che dai "social media", dalla cronaca che riferisce di attività persecutorie vergognose nei confronti di chiunque e in qualunque circostanza si presenti privo di difese. Da almeno un paio di decenni, se non di più, si nota la decadenza, il deperimento, l'imbarbarimento dei legami sociali, con la conseguenza, o meglio col precedente, di un irrigidimento e impoverimento desertificante della mentalità e della psicologia di massa. Se la criminalità organizzata prospera col traffico di droghe, se la comunicazione umana è sequestrata dai media elettronici che provocano fenomeni preoccupanti di assuefazione e dipendenza patologica; se scuola, educazione familiare e cultura si stanno liquefacendo come i ghiacciai polari; se la politica si nutre di percentuali socioeconomiche e prevede ben poco di etico e democraticamente pedagogico, tutto questo non può che avere conseguenze nefaste. Il ritorno, la crescita di comportamenti neonazisti in Germania è la cosa simbolicamente più sinistra, che si accompagna agli insulti antisemiti e alle minacce che ha ricevuto la senatrice Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz. Indicano che è stato superato il limite e che ormai si tratta di un'emergenza sociale assoluta, non relativa. Apologia di fascismo, razzismo e antisemitismo devono essere reati da perseguire legalmente con prontezza. Pensando a Liliana Segre ho riletto l'ampio capitolo che nel loro capolavoro Dialettica dell'illuminismo (1947) Max Horkheimer e Theodor Adorno dedicarono alla paranoia sociale e politica antisemita. Per i due filosofi e sociologi si trattava di «un problema cruciale dell'umanità» e di un sintomo del fallimento dell'umanesimo, dell'illuminismo, della cultura europea moderna. L'antisemitismo, secondo loro, non era più legato a considerazioni religiose, era teorizzato e praticato in funzione di un dominio politico totale e mortale che amputava l'umanità di tutti e ne preannunciava la regressione alla barbarie.
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