domenica 14 maggio 2023
Quando la vidi io, più di vent’anni fa, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, San Pietroburgo sembrava una vecchia quinta di teatro da tempo in disuso. I palazzi del Settecento che si specchiavano sulla Neva erano malconci, come una giacca elegante indossata troppo a lungo. Non ci fosse stato il mar Baltico, i gabbiani capaci d’infilarsi sicuri a volo basso dentro i portoni, non ci fosse stato il vento forte proveniente dal Polo, San Pietroburgo se la sarebbero già mangiata topi e tarakany, il nome russo per indicare gli scarafaggi. Ma c’era quel mare a ricordare l’oceano nella latitudine dei cervi e degli orsi. Città arbitraria, come New York, con in più lo sporco del cortile abbandonato. Una Scandinavia zingara e nobile allo stesso momento, che avrebbe meritato l’ancora insieme al martello. Un porto luminoso e sordido di ragazzi smarriti fra la Siberia e l’America con gli orologi militari da vendere nelle buste di plastica e le magliette navali sventolate davanti al turista, sulla Prospettiva Nevski. San Pietroburgo artico-latina. Ancora oggi resta nei miei occhi come un sogno la Madonna del Beato Angelico all’Ermitage. Fuori la luce era intensa anche di sera. Il palazzo in cui abitavo, in periferia, cadeva a pezzi. Ferite di comunismo, pensai, ma forse non era soltanto quello. © riproduzione riservata
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