sabato 4 agosto 2012
«Il sacro in effetti si lascia descrivere, poiché si manifesta nello spazio e nel tempo».L'affermazione di Julien Ries, il grande storico delle religioni, è una cartina di tornasole nella nostra vita quotidiana. Mio padre non credo abbia mai usato il termine «sacro» se non per contrapporlo, secondo il luogo comune, al «profano», e per lo più in momenti allegri e conviviali: «Su, non mescolate il sacro col profano!». Ma di fronte alle piante, nel suo giardino, si commuoveva, e curava i fiori accarezzandoli, rapito. Percepiva il senso del sacro nella sua realtà più elementare e potente, gioiosamente, in stato di inconsapevole rapimento estatico. Mia moglie spesso si incanta a osservare la forma di un fiore, di un rapace addormentato di giorno su un ramo: quel breve ìncanto rivela un'uscita dal tempo, l'accesso alla meraviglia del sacro. Che non è solo una gardenia o un gheppio, esseri esteticamente privilegiati. Il sacro si manifesta nelle luci al neon della strada cittadina, riflesse nella pozza d'acqua del temporale appena passato. Sappiamo che esistono veri e propri miracoli, rari, esaminati e vagliati con serietà e rigore. Ma il vero miracolo è saper vedere il miracolo: questo è alla portata di ognuno, in ogni istante della sua vita. È il miracolo più bello, e più difficile.
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