Non si pensi a una sorta di "sportello" dello spirito. Al quale si presenta una domanda, una richiesta, dopo di che non resta che aspettare che venga "evasa". E neppure la si consideri alla stregua di un rapporto fiduciario con il carattere dell'esclusiva. Perché la preghiera, in realtà, è una cosa molto diversa. E se possiamo essere certi che «in un modo o nell'altro Dio esaurirà le richieste di chi ha fede», con altrettanta certezza dobbiamo sapere che «le pretese di logiche mondane non decollano verso il cielo, così come restano inascoltate le richieste autoreferenziali».
Nel ricordare, mercoledì scorso, questo carattere centrale della preghiera, spiegando come durante la Messa, al momento della preghiera universale, si possono chiedere «le cose più forti, le cose di cui abbiamo bisogno, quello che vogliamo», papa Francesco ha affrontato quello che, forse, è l'interrogativo più profondo che sta nel cuore di ogni credente. Ossia la domanda che nasce dalle parole che Gesù pronuncia dopo l'ultima cena: «Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto». Parole impegnative, tanto per chi le pronuncia, quanto per chi li riceve. Parole che non aprono a un "mondo magico", ma che invece rivelano l'intimità di relazione sottintesa nella preghiera, tanto in quella personale quanto in quella comunitaria. «La preghiera è unione al sacrificio e costituisce la forza più potente nella storia umana – ha detto Giovanni Paolo II –. Se davvero si vuole seguire Cristo, se volete che il vostro amore sia totale, allora si deve essere fedeli alla preghiera. È la chiave per la vitalità della vostra vita in Cristo. Senza la preghiera, la vostra fede e l'amore moriranno. Se siete costanti nella preghiera quotidiana e nella celebrazione della Messa domenicale, il vostro amore per Gesù aumenterà. Il vostro cuore sarà pervaso da profonda gioia e pace come il mondo non avrebbe mai potuto dare».
La preghiera, insomma, come alimento della fede e, allo stesso tempo, nutrita dalla fede. In un rapporto "circolare" in cui lo stesso nostro rivolgersi al cielo «ci esorta – ha ripetuto papa Bergoglio – a fare nostro lo sguardo di Dio, che si prende cura di tutti i suoi figli». Così, con la preghiera «costante e fiduciosa», ha osservato Benedetto XVI in un commento che prendeva spunto dalla carcerazione di Pietro in attesa del martirio, il Signore «ci libera dalle catene, ci guida per attraversare qualsiasi notte di prigionia che può attanagliare il nostro cuore, ci dona la serenità del cuore per affrontare le difficoltà della vita, anche il rifiuto, l'opposizione, la persecuzione. L'episodio di Pietro mostra questa forza della preghiera. E l'Apostolo, anche se in catene, si sente tranquillo, nella certezza di non essere mai solo: la comunità sta pregando per lui, il Signore gli è vicino; anzi egli sa che "la forza di Cristo si manifesta pienamente nella debolezza". La preghiera costante e unanime è un prezioso strumento anche per superare le prove che possono sorgere nel cammino della vita, perché è l'essere profondamente uniti a Dio che ci permette di essere anche profondamente uniti agli altri».
Pregare, allora, «non è ripetere a pappagallo delle frasi, è essere umili, riconoscersi figli, riposare nel padre, fidarsi di lui», ha detto Francesco lo scorso novembre. Con lo stesso atteggiamento, in questo, dei bambini, i quali «sanno fidarsi, sanno che qualcuno si preoccuperà di loro, di quello che mangeranno, di quello che indosseranno e così via». Fiducia e confidenza, fede e intimità. Nella costante consapevolezza che «Dio si ricorda di te e si prende cura di te».
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