L'evento probabilmente è passato inosservato alla gran parte della gente, magari anche sotto gli occhi degli agricoltori. Ma l'acquisizione della piena operatività del Consiglio per la ricerca in agricoltura (Cra) è un fatto di grande valore. Specialmente quando il successo sui mercati agroalimentari si gioca non solo più sulla qualità del prodotto, ma anche sull'abbattimento dei costi e sulla sicurezza alimentare. La notizia che il Governo ha raccolto per la ricerca in agricoltura oltre 120 milioni di euro è quindi una buona notizia, che consola di fronte alla pessima notizia dell'aumento del deficit della nostra bilancia agroalimentare.
Il Consiglio per la ricerca in agricoltura nasce dall'accorpamento di ben 28 istituti di ricerca e sperimentazione agraria. Centri di studio (che contano complessivamente 79 sedi) spesso carichi di gloria sulle spalle ma, negli ultimi tempi, costretti ai minimi termini da fondi irrisori, che verranno adesso riorganizzati in soli 5 Dipartimenti: Biologia e produzione vegetale; Biologia e produzione animale; Trasformazione e valorizzazione dei prodotti agroindustriali; Agronomia Foreste e Territorio; Qualità certificazione e referenziazione. L'aggancio necessario fra ricerca e imprese agricole sarà assicurato da una serie di tavoli di dialogo permanente con le Regioni, le organizzazioni dei produttori e del comparto agroindustriale, le associazioni dei consumatori e le Università.
Nel programma dei prossimi mesi figura la definizione delle prime linee-guida per il 2005, che serviranno per l'elaborazione del Piano triennale di attività. La razionalizzazione delle attività, infine, passerà anche per quella del personale: attualmente alla ricerca in agricoltura sono destinate poco meno di duemila persone. Cosa riuscirà ad ottenere questa rivoluzione? È ancora presto per dirlo. Ed è certo che occorrerà vedere come questi principi - validi sulla carta ma da realizzare con altrettanta validità - troveranno applicazione. Se, infatti, la ricerca agricola italiana è davvero carica di gloria, non ci si può nascondere che sia ugualmente carica di residui deleteri del passato, oltre che di un po' di polvere e di scollamento dalle reali necessità operative che rappresentano altrettanti problemi da risolvere. Quello che è chiaro a tutti, è la necessità di fare in fretta e bene. A testimoniarlo gli ultimi dati resi noti dall'Ismea sul deficit agroalimentare. Nel semestre 2004, il disavanzo con l'estero ha sfiorato quota 4 miliardi di euro, contro i 3 miliardi circa del gennaio-giugno 2003 (+30%). Le importazioni, che hanno generato nel complesso una spesa di 13 miliardi di euro (+8%), hanno fatto segnare incrementi soprattutto per latte e derivati (+6,4%), ortofrutticoli (+4,6%), frumenti (+20,7%) e cereali foraggeri (+162%). Riguardo alle esportazioni, il dato generale mostra un aumento su base annua di appena lo 0,7%, per un controvalore di 8,9 miliardi. Insomma, il mercato non aspetta, la concorrenza nemmeno.
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