Non permettiamo a noi stessi di restare ancorati soltanto all’esperienza di ieri. Apriamoci ai nuovi inizi che il giorno di oggi viene imprevedibilmente a sollecitarci. Riserviamo un po’ di tempo ogni giorno per metterci all’ascolto, con profondità e freschezza, sempre disposti a imparare qualcosa di nuovo. Dedichiamoci a contemplare la realtà così come si manifesta, più pronti a investire sulla sua osservazione paziente che ad emanare giudizi affrettati o immagini precostruite. Concediamo deliberatamente spazio interiore ad accogliere la sorpresa e non solo ad assicurare il mantenimento delle routine. Impegniamoci nella gestazione di processi di riconciliazione in noi e negli altri. Immaginiamo le nostre mani come porte che si aprono, e non come muri che si ergono e interrompono la danza multiforme dell’esistenza. Accanto al pane che rappresenta il necessario, mettiamo la rosa che rappresenta il gratuito. Accanto all’argilla che rappresenta la nostra persistente fragilità, mettiamo il tesoro che rappresenta il nostro desiderio infinito. Disponiamoci a domandare più spesso che non a rivendicare; e, più frequentemente ancora, ad aspettare e a ringraziare che non a esigere o deplorare. Non ipotechiamo i nostri occhi al suolo come se noi gli appartenessimo, altrimenti ignoreremo che da lassù ci fa strada anche il percorso delle stelle, e che quella è la nostra vocazione.
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