C’era il mare appena mosso quel pomeriggio d’agosto in Gallura. Mi piace giocare con le onde mansuete, lasciarmene trasportare. Nell’abbandonarmi come in un grembo materno, non ho fatto caso che il mare si andava alzando. Rapido, sollevato da un vento sottile che mi allontanava da riva. Quando ho riaperto gli occhi ne ero già distante: gli ombrelloni sulla spiaggia, molto piccoli.
Tranquillamente ho iniziato a dare bracciate. Tre, sei, dieci, niente. La corrente continuava a spingermi al largo. Allora ho nuotato con tutte le mie energie. Ma con meraviglia ho scoperto che il mare era molto, molto più forte di me. Ero già sfinita. Le onde ora si erano alzate. Gli ombrelloni, sempre più lontani. Ho alzato una mano a chiedere aiuto, nessuno mi vedeva. Ho cominciato a bere, poi a perdere lucidità.
Ho scorto confusamente due che entravano in acqua. Uno sembrava mio figlio. Quando mi hanno raggiunto ho visto la faccia dell’uomo con lui: alto, sui 50 anni. Mi ha sorriso rassicurante. Le braccia forti di quei due che mi toglievano al mare: «Che combinazione, a giovane facevo il bagnino«, aveva detto lo sconosciuto, buttandosi.
«La invitiamo a cena», gli ho detto, salva, abbracciandolo. Ma: più visto, né l’indomani né dopo. L’unico ex bagnino in spiaggia quel giorno era proprio accanto a mio figlio. Dubbio inconfessabile: che gli angeli custodi, nell’estrema necessità, si palesino?
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