La foto manifesto della mostra su Brassaï a Palazzo Reale, a Milano: coppia al ballo delle quattro stagioni, rue de Lappe - © Estate Brassaï Succession - Philippe Ribeyrolles
Dalla piazza del Duomo di Milano ai vicoli di Parigi il passo è breve. Basta varcare una soglia, all’angolo di Palazzo Reale, per cominciare un viaggio meraviglioso, intimo e festoso insieme, nella Ville Lumière. Una passeggiata nella sorprendente Parigi, così piena di luce anche quando scende la nebbia e si fa notte. La Parigi della grandeur, ai piedi della Tour Eiffel e quella dei bar, dei locali e degli hotel. Il mito di Parigi raccontato da Brassaï, “L’occhio di Parigi”, come il titolo della mostra che Palazzo Reale ospita fino al 2 giugno dedicata al grande fotografo di origine ungherese. Una passeggiata a Parigi, restando a Milano, attraverso un allestimento suggestivo e avvolgente che fa dimenticare il tempo e lo spazio. Catapultati nella capitale francese degli anni Trenta. Come per magia. La Parigi di giorno e di notte. La Parigi segreta e misteriosa. La Parigi delle illusioni.
Brassaï è stato tra i primi fotografi in grado di catturare l’atmosfera notturna della Parigi dell’epoca e del suo popolo: lavoratori, prostitute, clochard, artisti, girovaghi solitari. Nessuno prima di lui aveva avuto l’audacia di raccontare la notte con i giochi dell’oscurità in contrasto con i bagliori della luce. Il suo esposimetro «era la sigaretta, e aveva come assistenti i fari delle macchine, il brillare della luna, a volte la neve, e soprattutto i lampionai: erano queste le sue fonti di luce. E ancora aveva per amica la nebbia, che con la sua trasparenza velata conferiva agli scatti un alone che creava atmosfere soprannaturali. Con la stessa intensità, fotografava i vecchi mestieri, la vita delle strade e il nascere di amori romantici», si legge nel catalogo (Silvana Editoriale) a proposito del suo andare nella Parigi di notte. È del 1933 il suo volume Paris de Nuit, un’opera fondamentale nella storia della fotografia francese.
«Esporre oggi Brassaï – afferma il curatore della mostra Philippe Ribeyrolles, studioso e nipote del fotografo che detiene un’inestimabile collezione di stampe di Brassaï e un’estesa documentazione relativa al suo lavoro di artista – significa rivisitare quest’opera meravigliosa in ogni senso, fare il punto sulla diversità dei soggetti affrontati, mescolando approcci artistici e documentaristici; significa immergersi nell’atmosfera di Montparnasse, dove tra le due guerre si incontravano numerosi artisti e scrittori, molti dei quali provenienti dall’Europa dell’Est, come il suo connazionale André Kertész. Quest’ultimo esercitò una notevole influenza sui fotografi che lo circondavano, tra cui lo stesso Brassaï e Robert Doisneau».
Ungherese di nascita, ma parigino d’adozione, Brassaï - il suo vero nome è Gyula Halász, sostituito dallo pseudonimo che omaggia Brassó, la sua città natale - è stato uno dei protagonisti della fotografia del XX secolo, definito dall’amico Henry Miller «l’occhio vivo» della fotografia. In stretta relazione con artisti come Picasso, Dalí e Matisse, e vicino al movimento surrealista, a partire dal 1924 fu partecipe del grande fermento culturale che investì Parigi in quegli anni. Brassaï appartiene a quella “scuola” francese di fotografia definita umanista, sebbene riassumere il suo lavoro solo sotto questo aspetto sarebbe riduttivo.
Oltre alla fotografia di soggetto, la sua esplorazione dei muri di Parigi e dei loro innumerevoli graffiti testimonia il legame di Brassaï con le arti marginali e l’art brut di Jean Dubuffet. Brassaï stesso abbraccerà diverse arti. Così la mostra - promossa da Comune di Milano – Cultura e prodotta da Palazzo Reale e Silvana Editoriale, in collaborazione con l’Estate Brassaï Succession - oltre che una passeggiata per Parigi può essere vissuta anche «come una passeggiata attraverso le opere di un artista poliedrico – dichiara l’assessore alla cultura Tommaso Sacchi –. Brassaï fu fotografo e musicista, disegnatore, pittore, caricaturista, scenografo, scultore, cineasta e scrittore. Tutti i suoi talenti si possono scoprire ammirando le 220 opere in mostra, che restituiscono il senso della sua profonda cultura e della sua grande libertà espressiva».
Le sue fotografie dedicate alla vita della Ville Lumière sono immagini iconiche che nell’immaginario collettivo identificano subito il volto di una Parigi sognante, con ivolti e i sorrisi degli innamorati ai tavoli dei locali. Scritti con la luce e la meraviglia, certo Brassaï che «tutto può essere banale, tutto può diventare meraviglioso! Cos’è il banale se non il meraviglioso impoverito dall’abitudine?». Lui sapeva trovare il meraviglioso ogni giorno. Anche nella notte. Nella nebbia. Sotto la pioggia.
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