Siti, blog e social network che orbitano nell'universo digitale ecclesiale partecipano alla discussione, fortemente polarizzata, intorno a quello che per intenderci chiamerò il "caso Aquarius", ultimo e perfetto catalizzatore della questione dei migranti e dei profughi che dall'Africa, attraverso il Mediterraneo, cercano di raggiungere le coste dell'Europa. In queste occasioni si vede bene che l'ambiente digitale è così refrattario alle relazioni verticali da non riconoscere a nessuno il diritto a pronunciare l'ultima parola. Non la si riconosce ai Papi, che vengono contrapposti l'uno all'altro, in particolare gli ultimi tre. E se di Francesco non è certo difficile trovare qualche citazione sull'argomento (c'è anche chi posta la foto-simbolo del suo primo viaggio, che come si sa ebbe per meta Lampedusa), di Giovanni Paolo II circola addirittura una "cartolina" con alcune sue parole, selettivamente tratte dall'esortazione apostolica del 2003 Ecclesia in Europa in maniera da fare apparire la visione di quel documento meno sollecita verso l'accoglienza di quanto in effetti lo sia (basta leggere per intero la piccola sezione da cui è tratta, ai nn. 100-103, intitolata appunto "Per una cultura dell'accoglienza", come giustamente ricorda anche Mimmo Muolo nel suo pezzo su Avvenire.it: tinyurl.com/y8xnoeb3 ). L'ultima parola non la si riconosce neppure alla Scrittura. Sebbene molti degli interlocutori, incoraggiati da un tweet particolarmente autorevole – quello del cardinal Ravasi – sostengano la loro posizione citando Matteo 25 (Ero forestiero e...), altrettanti la demoliscono attraverso prolungati esercizi di benaltrismo, in tutte le sue varianti. Non trova miglior sorte Luca 10 (Ma un samaritano...): un amico digitale obietta che quello stesso samaritano, se ogni volta che viaggiava da Gerusalemme a Gerico gli avessero messo sulla strada un ferito o un ammalato, alla fine avrebbe cambiato itinerario; e un altro utente che a ben guardare egli non pensa solo al bisognoso, ma anche ai suoi affari.
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