Mandiamo giù a gran sorsi la menzogna che ci lusinga. Ma beviamo a goccia a goccia la verità che ci riesce amara.
«Riderà bene chi riderà ultimo»: finisce così il romanzo in forma di dialogo Il nipote di Rameau che l'illuminista Denis Diderot (1713-1784) compose senza vederlo mai pubblicato (uscirà postumo nel 1821). Un conoscente mi ha regalato proprio questa preziosa edizione francese e, così, mi sono messo a leggere la briosa conversazione - piena di paradossi e intercalata da scenette - tra l'Io del narratore e il nipote del noto musicista Rameau. Le molte considerazioni, spesso sconcertanti e volutamente provocatorie, contengono non di rado verità amare, come quella che oggi scelgo e che non ha bisogno di commento ma solo di applicazioni.
Vorrei solo, quasi a margine, invitare tutti e un esame di coscienza. Amiamo, infatti, la lode, l'illusione, l'elogio e ci lasciamo avvolgere da quelle spire. Detestiamo le critiche che riteniamo sempre ingenerose, immeritate, ingrate. Bisognerebbe, invece, provare ad assumere - anche se col contagocce, come dice Diderot - ogni giorno qualche stilla di critica o di autocritica. È per questo che parlavo di esame di coscienza. Anche se attorno non abbiamo nessuno che sappia, osi o tenti di mostrarci i nostri limiti, c'è però una voce sottile che non si può sempre tacitare ed è quella dell'anima. Solo che, per sentirla, è necessario ritirarsi in silenzio e riflettere sulle nostre azioni e parole. Il teologo Karl Barth diceva che «la coscienza è la perfetta interprete della vita», sempre però che non la si taciti o la si pieghi con violenza al proprio gusto o interesse.
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