Con poche eccezioni, i 683 amici che ho su Facebook condividono con me l'interesse per l'informazione e la cultura religiosa. Una piccola parte di loro riesce addirittura a tramutare tale interesse in pane quotidiano.Questi miei 683 amici di social network hanno postato, dalle 8 alle 18 di ieri, complessivamente 400 volte, e la metà di quelle loro parole era dedicata al nuovo "pezzo di guerra" (per dirla con papa Francesco) che si è combattuto a Bruxelles. Francamente fatico a scegliere l'avverbio con il quale accompagnare questo dato: percentualmente, è molto o è poco?È molto, se si considera la dispersione abituale di un ambiente come Facebook. E tuttavia mi pare poco: mi sarei aspettato che non avessimo molto altro da dire, in ore come queste. Anche perché, oltre agli eventi in sé, c'era da riflettere - e diversi l'hanno fatto - sul modo del racconto che si andava svolgendo, sui rischi (come l'inevitabile spaccio del filmato di una "vecchia" strage), sulle strumentalizzazioni politiche più o meno evidenti.Se frugo tra quei 200 post, ne estraggo innanzitutto tre immagini, oltre a quelle della cronaca: il bambino profugo (e speriamo che non sia stata costruita) che a Idomeni innalza un cartello, «Sorry for Brussels», e le due vignette di una bandiera francese che abbraccia e consola la belga (di Plantu per "Le Monde") e del "belga" Tintin che piange insieme al cane Milou. E poi tre frasi, che mi sono annotato perché esplicitamente o implicitamente rappresentative di tre sguardi comuni.Il freddo realismo: «Un colpo al giorno, o quasi» (Vittorio Zambardino). L'appello politico: «Non si è mai sicuri se non si decide tutti insieme di difendere la democrazia e garantire la giustizia» (Francesco Occhetta). L'onestà intellettuale: «Non ho commenti intelligenti da fare oggi, quelli stupidi li tengo per me. Sono addolorata. E prego» (Mariapia Cavani).
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