Esattamente un secolo fa la cultura letteraria europea concluse la sua prima fase artisticamente innovativa: nel 1924 Thomas Mann pubblica La montagna incantata, mentre di Franz Kafka esce postumo Il processo e Andrè Breton lancia il suo primo Manifesto del surrealismo. Fra i primi grandi narratori di inizio Novecento, che segnarono un sorprendente distacco del nuovo romanzo rispetto a quello realistico del secolo precedente, Mann era il più tradizionalista per linguaggio e tecnica costruttiva. Aveva esordito nel 1901 con I Buddenbrook, l’ultimo classico dell’Ottocento. Molto più audaci sarebbero stati i capolavori di Proust e di Joyce, Alla ricerca del tempo perduto e Ulisse. Ma Mann costruì con La montagna incantata una perfetta e diagnostica allegoria morale del conflitto ideologico di un’epoca divisa fra riproposizioni dell’umanesimo razionalistico, fiducioso nel progresso, e un irrazionalismo morbosamente neoromantico, il cui destino doveva rivelarsi distruttivo e autodistruttivo. L’ambientazione in un sanatorio svizzero mostrava che l’alternativa del secolo era fra aspirare alla salute o cedere alla fascinazione della malattia. Intanto a Praga il più giovane Kafka scriveva diari, racconti, parabole allusivamente mistiche e romanzi che non osava pubblicare. Il processo, la sua opera più eloquente e tipica, racconta la vicenda inspiegabile di una colpa misteriosa attribuita a un innocente che alla fine soccomberà schiacciato da una macchina processuale implacabile. Sembra che Kafka già abbia previsto i crimini politici e di Stato che renderanno tragica e sinistra la prima metà del Novecento con i suoi regimi dittatoriali e totalitari. Confrontato con queste due opere di Mann e di Kafka, il Manifesto del surrealismo ha qualcosa di ridicolo e di scolastico, come ogni programma letterario-antiletterario d’avanguardia che pretende di insegnare come gli scrittori devono scrivere per essere “al passo con i tempi”. Sintesi di tutte le avanguardie precedenti e successive, il surrealismo teorizzò una “rivoluzione permanente” dell’umano mettendo insieme un Freud male interpretato con Rimbaud e con il bolscevico sconfitto Trockij, costretto all’esilio da Stalin. Così, con gli anni Trenta, gli scrittori si trovarono ad essere ossessionati dalla politica, dall’etica e dal loro conflitto, come è accaduto, fra gli altri, a Brecht, Orwell, Silone, Neruda, Weil, Camus.
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