Papa Francesco riceve lunedì 7 gennaio in udienza il Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede.
Per la prima volta ad accoglierlo con il saluto pronunciato a nome di tutti i capi missione sarà un decano non cattolico, il cipriota ortodosso Georgios F. Poulides. Molto atteso, come sempre, il discorso del Pontefice – il più “geopolitico” dell’anno – che arriva dopo un 2018 che ha visto la storica firma di un accordo provvisorio sulle nomine episcopali con la Cina popolare, uno dei pochi Paesi al mondo a non avere ancora rapporti diplomatici con la Roma vaticana.
La Santa Sede infatti intrattiene ormai pieni rapporti diplomatici con quasi tutti gli Stati dell’orbe. Nel 1900 questi Paesi erano appena una ventina, nel 1978 ammontavano già a 84 e nel 2005 erano 174. Con Benedetto XVI sono arrivati a 180 e con papa Francesco sono diventati 183. Gli ultimi Stati ad allacciare pieni rapporti con Oltretevere sono stati il neonato Sud Sudan (2013), la Mauritania (2016) e Myanmar (2017). Nel 2016 poi le “relazioni speciali” intrattenute con lo Stato di Palestina – definito così ufficialmente dalla Santa Sede successivamente alla risoluzione Onu 67/19 del novembre 2012 che gli ha concesso lo status di osservatore permanente – sono diventati rapporti diplomatici a pieno titolo dopo l’entrata in vigore dell’Accordo globale firmato nel giugno 2015.
La Santa Sede ha poi legami diplomatici con l’Unione Europea e l’Ordine di Malta, e mantiene osservatori permanenti presso le principali organizzazioni internazionali governative, come ad esempio l’Onu (nelle sedi di New York e Ginevra), mentre dell’Osce, con sede a Vienna, è storico membro fondatore.
Tra i Paesi con cui la Santa Sede ha rapporti diplomatici c’è anche la Cina-Taiwan dove però dal 1979 non risiede più un nunzio, ma un semplice «incaricato d’affari ad interim».
A Roma comunque si attende sempre il momento di poter trasferire finalmente – quando sarà possibile – la nunziatura a Pechino. Nel frattempo una rappresentanza diplomatica risiede stabilmente nella cosiddetta “missione di studio” a Hong Kong, che figura formalmente collegata alla nunziatura delle Filippine (nell’Annuario Pontificio, a partire dal 2016, viene comunque indicato, in nota, il recapito reale di questa “missione”).
La Santa Sede non intrattiene ancora relazioni con dodici Stati, perlopiù asiatici e in buona parte a maggioranza islamica. In otto di questi Paesi non è presente nessun inviato vaticano (Afghanistan, Arabia Saudita, Bhutan, Cina popolare, Corea del Nord, Maldive, Oman, Tuvalu). Mentre sono in carica dei delegati apostolici (rappresentanti pontifici presso le comunità cattoliche locali ma non presso i governi) in altri quattro Paesi: due africani (Comore e Somalia) e due asiatici (Brunei e Laos).
Un caso particolare è quello del Vietnam, con il quale sono iniziate formalmente le trattative per arrivare a pieni rapporti diplomatici e, a questo fine, nel 2011 è stato nominato un rappresentante vaticano non residenziale presso il governo di Hanoi. A dicembre, al termine del 7° incontro del gruppo di lavoro congiunto tra Vietnam e Santa Sede, le due parti hanno comunque raggiunto «un accordo» per elevare «nel prossimo futuro» il livello delle relazioni «da un rappresentante pontificio non permanente a un rappresentante pontificio permanente». Per quanto riguarda il Kosovo – il cui riconoscimento avverrà quando il suo status internazionale sarà meno controverso –, la Santa Sede si è per ora limitata a nominare un delegato apostolico nella persona del nunzio in Slovenia. Così quando il presidente kosovaro nel 2016 e 2017 e il premier nel 2018 sono stato ricevuti dal Papa, le udienze sono state private e quindi non pubblicate su L’Osservatore Romano.
Attualmente sono una novantina le cancellerie di ambasciate con sede a Roma, comprendendo anche quelle dell’Unione Europea e dell’Ordine di Malta. I Paesi rimanenti sono rappresentati in genere da diplomatici residenti in altre capitali europee. La Santa Sede infatti non accetta ambasciatori accreditati anche presso il Quirinale. Nel 2014 è tornata ad essere residenziale la rappresentanza dell’Irlanda che nel 2011 il governo di Dublino aveva declassato a non residenziale. Con papa Francesco sono diventati “residenti” gli ambasciatori “non residenti” di Armenia, Belize, Ghana, Palestina, Malaysia e Sud Africa. La Santa Sede continua a manifestare una particolare attenzione per i Paesi africani e asiatici. Ma anche per la “periferica” regione dei Balcani, storicamente tra le più tormentate del continente europeo. Lo scorso anno il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, durante una sua visita in Montenegro, ha annunciato l’apertura di una sede stabile della nunziatura a Podgorica (nella zona ci sono ora nunzi residenti a Lubiana, Zagabria, Belgrado, Sarajevo, Tirana, Sofia e Bucarest). Sempre nel 2018 papa Francesco ha poi voluto che in Sud Sudan risieda stabilmente un consigliere di nunziatura. Già nel 2010, oltre a quello presente in Timor Est, erano stati nominati in Africa altri tre “incaricati d’affari”, in Ciad, Gabon e Malawi.