sabato 30 luglio 2022
Il colloquio di Francesco con i giornalisti nel volo di ritorno: «In Ucraina vorrei andarci». Sulla politica italiana: «non voglio immischiarmi», ma raccomanda ai partiti «responsabilità civica»
La conferenza stampa di papa Francesco sul volo di ritorno dal viaggio apostolico in Canada

La conferenza stampa di papa Francesco sul volo di ritorno dal viaggio apostolico in Canada - Reuters

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Papa Francesco non vuole “immischiarsi” nella politica italiana ma raccomanda “responsabilità civica” ai partiti in campagna elettorale. Ribadisce che esiste la possibilità di sue dimissioni (“la porta è aperta”) ma conferma che finora non ha pensato a questa eventualità. Non esclude che possano esserci sviluppi dottrinali - ma solo “in senso ecclesiale” – e bolla come “peccato” l’”indietrismo” tradizionalista. Di questo, e altro (Sinodo tedesco, la Chiesa che è donna), il Pontefice ha parlato nella consueta conferenza stampa sul volo di ritorno che lo ha riportato a Roma dopo il “pellegrinaggio penitenziale” in Canada. Nell’occasione Francesco ha salutato con simpatia e affetto Paolo Rodari nel suo ultimo viaggio papale come vaticanista di Repubblica, da settembre assumerà l’incarico di vice-direttore e Sr Digital Editor del Gruppo Athesis, la media company lombardo-veneta che edita tra gli altri L’Arena, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi.

Di seguito un’ampia sintesi del colloquio con i cronisti al seguito. Colloquio che è iniziato con due temi specifici del viaggio, durante il quale Francesco ha chiesto perdono per il ruolo avuto da non pochi cattolici nella gestione delle cosiddette “scuole residenziali”, istituite dal governo e affidate alle Chiese cristiane per “rieducare” secondo i canoni occidentali i giovani nativi strappandoli dalle famiglie. Un sistema nato a fine Ottocento e mantenuto fino alla seconda metà del secolo scorso.

Sul fatto che alcuni indigeni attendevano una sua parola sulla Dottrina della scoperta che avrebbe giustificato teologicamente la colonizzazione forzata delle Americhe da parte delle potenze cattoliche

Credo che questo è un problema di ogni colonialismo, anche oggi le colonizzazioni ideologiche hanno lo stesso schema. La coscienza della uguaglianza umana è arrivata lentamente, e dico la coscienza perché nell’inconscio ancora c’è qualcosa. Sempre noi abbiamo – mi permetto di dirlo – come un atteggiamento colonialista di ridurre la loro (dei nativi, ndr) cultura alla nostra. È una cosa che ci viene dal modo di vivere sviluppato nostro, che delle volte perdiamo dei valori che loro hanno. Per esempio: i popoli indigeni hanno un grande valore che è il valore dell’armonia col creato e almeno alcuni che io conosco lo esprimono nella parola “vivere bene”. Quello non vuol dire, come capiamo noi occidentali, fare la dolce vita. No. Vivere bene è custodire l’armonia, e questo per me è il grande valore dei popoli originari: l’armonia. Noi siamo abituati a ridurre tutto alla testa e invece la personalità dei popoli originari – sto parlando in genere – sa esprimersi in tre linguaggi: quello della testa, quello del cuore e quello delle mani. Ma tutti insieme. E sanno avere questo linguaggio col creato. Lo sviluppo è buono, ma non è buona quell’ansietà di sviluppo, sviluppo, sviluppo… una delle cose che la nostra civiltà supersviluppata commerciale ha perso è la capacità della poesia. I popoli indigeni hanno quella capacità poetica.

Questa dottrina della colonizzazione è vero, è cattiva, è ingiusta. Anche oggi è usata, lo stesso, con guanti di seta forse, ma è usata. Per esempio, alcuni vescovi di qualche Paese mi hanno detto: “Ma il nostro Paese quando chiede un credito ad una organizzazione internazionale gli mettono delle condizioni, anche legislative, colonialiste”. Per dare il credito ti fanno cambiare un po’ il tuo modo di vivere. Tornando alla colonizzazione nostra, quella dell’America, quella degli inglesi, dei francesi, degli spagnoli e dei portoghesi, c’è sempre stato quel pericolo, anzi quella mentalità “noi siamo superiori e questi indigeni non contano”. E questo è grave. Per questo dobbiamo lavorare per sanificare quello che è stato fatto male, ma nella consapevolezza che anche oggi esiste lo stesso colonialismo. Faccio un caso, che è universale e mi permetto di dirlo, penso al caso dei Rohingya nel Myanmar: non hanno diritto di cittadinanza, sono di livello inferiore. Anche oggi.

Sul fatto che nei discorsi non abbia usato il termine “genocidio culturale” per condannare il sistema delle “scuole residenziali”.

E’ vero, non ho usato la parola perché non mi è venuta in mente, ma ho descritto il genocidio e ho chiesto scusa, perdono per questo lavoro che è genocida. Ho condannato questo pure: togliere i bambini e cambiare la cultura, cambiare la mente, cambiare le tradizioni... Sì è una parola tecnica genocidio, ma io non l’ho usata perché non mi è venuta in mente. Ma è vero, è un genocidio. Tranquilli. Può riferire che io dico di sì, che è stato un genocidio.

Stato di salute e viaggi futuri. In Ucraina, Kazakhstan, Africa

Non credo che possa andare con lo stesso ritmo dei viaggi di prima. Credo che alla mia età e con questa limitazione (al ginocchio, ndr) devo risparmiare un po’ per poter servire la Chiesa o al contrario pensare alla possibilità di farmi da parte. Questo in tutta onestà non è una catastrofe. Si può cambiare Papa… si può cambiare, non c’è problema. Ma credo che devo limitarmi un po’ con questi sforzi. L’intervento chirurgico al ginocchio non va, nel mio caso. I tecnici dicono di sì, ma il problema dell’anestesia – più di sei ore - che ho subito 10 mesi fa e ancora ci sono le tracce e non si scherza con l’anestesia. Cercherò di continuare a fare dei viaggi ed essere vicino alla gente, perché credo che è un modo di servire, la vicinanza.

In Ucraina vorrei andarci, vediamo cosa trovo quando arrivo a casa. Il Kazakhstan mi piacerebbe andare, è un viaggio tranquillo senza tanto movimento, è un congresso di religioni. Devo andare in Sud Sudan prima che nel Congo, perché è un viaggio con l’arcivescovo di Canterbury e il moderatore della Chiesa scozzese…Poi il Congo ma sarà l’anno prossimo, perché la stagione delle piogge… vediamo. Io ho tutta la buona volontà, ma vediamo la gamba cosa dice.

La vocazione del gesuita. E la possibilità delle dimissioni.

Il gesuita cerca di fare la volontà del Signore. Anche il Papa gesuita deve fare lo stesso. Se il Signore ti dice vai avanti, devi andare avanti, se il Signore dice che devi andare all’angolo, devi andare all’angolo. Il Signore può dire dimettiti. È il Signore che comanda. Se io – per ipotesi - vedo che il Signore mi dice qualcosa, devo fare un discernimento per vedere cosa chiede il Signore e può essere che il Signore mi vuole all’angolo. E’ cosa sua. È lui che comanda. Questo è il modo religioso di vivere di un gesuita. Il discernimento è chiave nella vocazione del gesuita. Sant’Ignazio in questo era molto fermo, perché è stata la sua esperienza del discernimento spirituale che lo ha portato alla conversione…E gli esercizi spirituali sono una scuola di discernimento. Il gesuita deve essere per vocazione un uomo di discernimento. Discernere le situazioni, discernere la propria coscienza, discernere le decisioni da prendere.

Se si sente più Papa o più gesuita

Non ho mai fatto quella misura. Mi sento servitore del Signore con l’abitudine gesuita. Non esiste una spiritualità papale, ogni papa porta avanti la propria spiritualità. Pensa a Giovanni Paolo II con sua bella spiritualità mariana, la aveva prima e la aveva da Papa. Il Papato non è una spiritualità, è un lavoro, è una funzione, è un servizio, ma ognuno lo porta avanti con la sua spiritualità, con le proprie grazie, la propria fedeltà, e anche con i propri peccati. Per questo non c’è confronto tra spiritualità gesuitica e papale. Perché questa seconda non esiste.

Cammino Sinodale tedesco e recente comunicato non firmato della Santa Sede sul tema.

Prima di tutto, quel comunicato lo ha fatto la Segreteria di Stato. È stato uno sbaglio non firmarlo come Segreteria di Stato. È stato uno sbaglio di ufficio, non di cattiva volontà. Sul cammino sinodale tedesco io scrissi una lettera, da solo, e ho detto tutto quello che dovevo dire. Più di quello non dirò. Quello è il magistero papale sul cammino sinodale, quella lettera che scrissi due anni fa. Ho scavalcato la Curia, perché non ho fatto consultazioni, l’ho fatto come pastore ad una Chiesa che sta cercando un cammino, come fratello, come padre, come credente. So che non è facile, ma è tutto in quella lettera.

Sulla caduta del governo Draghi in Italia

Prima di tutto io non voglio immischiarmi nella politica interna italiana. Secondo, nessuno può dire che il presidente Draghi non fosse uomo di alta qualità internazionale, è stato presidente della Banca (centrale europea), una buona carriera, diciamo così. Poi io ho fatto una domanda soltanto ad uno dei miei collaboratori: “dimmi, quanti governi ha avuto l’Italia in questo secolo?” Mi ha detto venti. Questa è la mia risposta.

Un appello alle forze politiche in vista delle elezioni.

Responsabilità. Responsabilità civica.

Sulla possibilità di uno sviluppo nella dottrina riguardo gli anticoncezionali.

Questa è una cosa molto puntuale, ma sappiate che il dogma, la morale è sempre in una strada di sviluppo, ma di sviluppo nello stesso senso. Per lo sviluppo teologico, o dogmatico, c’è una regola che è chiarissima e illumina. Quella di Vincenzo de Lerin nel X secolo: dice che la vera dottrina progredisce "ut annis scilicet consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate" (consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l’età) e per questo che il dovere dei teologi è la ricerca, la riflessione. Non si può fare teologia con un “no” davanti, poi sarà il magistero a dire “no”, ma lo sviluppo teologico deve essere aperto, perché i teologi ci sono per questo e il magistero deve aiutare a capire i limiti.

Sul problema dell’anticoncezionale, so che è uscita una pubblicazione su questo e altri temi matrimoniali. Sono gli atti di un congresso. Nel congresso ci sono le ponenze, poi discutono tra loro e fanno le proposte. Questi che hanno fatto questo congresso hanno fatto il loro dovere perché hanno cercato di andare avanti nella dottrina, ma in senso ecclesiale, non fuori. Poi il magistero dirà: sì va bene, o no non va bene. Ma tante cose sono cambiate. Pensa alle armi atomiche, oggi è dichiarato ufficialmente che l’uso e il possesso delle armi atomiche è immorale. Pensa alla pena di morte: io posso dire che siamo vicino all’immoralità lì, perché la coscienza morale si è sviluppata bene.

Quando il dogma o la morale si sviluppa, sta bene, ma in quella direzione con le tre regole di Vincenzo di Lerins: una Chiesa che non sviluppa in senso ecclesiale il suo pensiero è una Chiesa che va indietro e questo è il problema di oggi di tanti che si dicono tradizionali. Non sono tradizionali, sono indietristi, vanno indietro senza radici: “sempre è stato fatto così”, “il secolo scorso è stato fatto così”. E l’indietrismo è un peccato, perché non va avanti con la Chiesa. Invece la tradizione, diceva qualcuno, è la fede viva dei morti, invece per questi indietristi che si dicono tradizionalisti è la fede morta dei viventi. La tradizione è la radice di ispirazione per andare avanti nella Chiesa. L’indietrismo è andare indietro, l’indietrismo è sempre chiuso. È importante capire bene il ruolo della tradizione, che è sempre aperta, come le radici dell’albero. Gustav Mahler diceva che la tradizione è la garanzia del futuro, non è un pezzo di museo. Se tu concepisci la tradizione chiusa, questa non è la tradizione cristiana.

Se ha mai pensato alle caratteristiche vorrebbe che avesse il suo successore

Questo è lavoro dello Spirito Santo. Io non oserei mai di pensarlo. Lo Spirito Santo questo lo sa fare meglio di me e meglio di tutti noi, perché ispira le decisioni al Papa, sempre ispira, perché è vivo nella Chiesa, non si può concepire la Chiesa senza lo spirito Santo. E’ colui che fa le differenze, fa anche il chiasso - pensa alla mattina di Pentecoste - ma poi fa l’armonia. E’ importante parlare di armonia più che di unità.

A me piace quello che san Basilio dice dello Spirito Santo: ipse armonia est. È armonia, che prima ha fatto chiasso con le differenze dei carismi.

Se ha mai pensato di ritirarsi

La porta è aperta, è una delle opzioni normali, ma fino ad oggi non ho sentito di pensare a quella possibilità. Ma non vuol dire che dopodomani non comincio a pensarci. Sarà il Signore a dirlo.

La figura di sant’Anna e la Chiesa che è donna

Prima di congedarmi vorrei parlare di una cosa che per me è importante. Il viaggio in Canada era molto legato alla figura di sant’Anna e io ho detto alcune cose sulle donne, ma soprattutto sulle anziane, sulle mamme e sulle nonne, e ho sottolineato una cosa che è chiara: la fede va trasmessa in dialetto e il dialetto, l’ho detto chiaramente, il dialetto delle nonne, noi abbiamo ricevuto la fede in quella forma dialettale femminile. Questo è molto importante: il ruolo della donna, nella trasmissione della fede. E’ la mamma o la nonna a insegnare a pregare, è la mamma o la nonna a spiegare le cose che il bambino non capisce della fede. Io posso dire che questa trasmissione dialettale della fede è femminile. Quella che trasmette la fede è la Chiesa e la Chiesa è donna, la Chiesa è sposa, la Chiesa non è maschio. E noi dobbiamo entrare in questo pensiero della Chiesa donna, della Chiesa madre, che è più importante di qualsiasi fantasia ministeriale, maschilista, o qualsiasi potere maschilista. La fede va trasmesso in dialetto e quel dialetto lo parlano le donne e questa è la grande gioia della Chiesa perché la Chiesa è donna, la Chiesa è sposa.

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