sabato 2 aprile 2022
L’arcivescovo Scicluna: questa visita ci aiuti a guarire dalle nostre ferite. Francesco viene a dare un messaggio: non si può parlare di accoglienza facendo distinzioni
Charles Scicluna

Charles Scicluna - .

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«Papa Francesco arriva a Malta, che si trova vicina a Lampedusa, meta del suo primo viaggio nel 2013, e viene a dirci che il migrante e il profugo, che arrivi dall’Ucraina o da un Paese africano, è sempre un migrante e che bisogna prestare attenzione alle violazioni dei diritti umani, frutto di politiche e interessi egoistici che sono diretta espressione della complicità dell’Europa, come succede in Libia». Charles Scicluna, arcivescovo di Malta, attende papa Francesco a La Valletta collocando la visita del pontefice nel cuore della storia, non solo del Mediterraneo. Una storia che parla del cristianesimo, arrivato in Europa proprio attraverso un gruppo di naufraghi accolti sull’isola.

Quale immagine riassume lo spirito con cui Malta accoglierà papa Francesco?
Tra le molte iniziative, ci resta impresso il raduno di ragazzi e ragazze delle scuole che hanno preparato dei dipinti e qualche messaggio per il Papa. Questa visita arriva in un momento storico doloroso. E mi ha molto colpito la reazione specialmente dei bambini e dei ragazzi, che conoscono e seguono i fatti di Kiev, e sono colpiti da questa emergenza. Attraverso i loro lavori hanno stabilito un dialogo ideale con il Papa, che percepiscono e indicano come un «araldo della Pace».

«Una volta in salvo, venimmo a sapere che l’isola si chiamava Malta». E ancora: «Ci trattarono con rara umanità; ci accolsero tutti attorno a un gran fuoco, che avevano acceso perché era sopraggiunta la pioggia ed era freddo». Sono trascorsi duemila anni dal naufragio di san Paolo raccontato negli Atti degli Apostoli. Come si presenta oggi l’isola e cosa può ancora dire al Vecchio Continente?
Negli Atti degli Apostoli, capitolo 28, Luca ci racconta di san Paolo e 275 altri compagni naufraghi sbarcati a Malta. E Paolo porta con sé ciò che ha nel cuore: il messaggio di Gesù. Negli Atti, Luca non ci riporta quello che ha detto Paolo agli abitanti dell’isola, ma racconta le tante guarigioni. È importante ricordarlo perché oggi, attraverso la visita del Papa, chiediamo di guarire le ferite della nostra indifferenza, di ritrovare la nostra ricchezza d’animo, di uscire dall’autoreferenzialità guardando al fratello come compagno di viaggio. E la Chiesa è chiamata proprio a riscoprire e diffondere questa narrazione. E il Papa viene a ricordare a noi la nostra storia e le nostre radici.

Di solito le visite pastorali dei pontefici innescano una ripartenza nelle comunità locali fin dalla preparazione all’accoglienza del Pontefice. È così anche per voi?
Sì, e si tratta di uno stimolo non solo per la Chiesa di Malta ma per tutta la società maltese. Comprendiamo che siamo chiamati a vivere la nostra missione nel luogo e nella storia nella quale ci troviamo, al centro del Mediterraneo. Secondo alcuni studiosi il nome “Malta” significa “porto sicuro”. E noi dobbiamo essere sempre porto sicuro per accogliere gli uni gli altri, per rispondere a chi bussa alle nostre porte chiedendo il nostro aiuto.

Voi siete al centro del Mediterraneo, dove si incontrano culture e si scontrano interessi internazionali. Cosa vi aspettate dalla presenza del vescovo di Roma?
Questa visita era stata annunciata due anni fa e la Provvidenza ha voluto che arrivasse adesso, in un momento così particolare per l’Europa e il mondo. Anche per il Mediterraneo questo viaggio ha un significato molto più grande. Spesso guardiamo al Mare Nostrum e ai flussi migratori che ci interessano da vicino, specialmente a Malta e in Sicilia. Ma osservando da qui le vicende dei profughi dall’Ucraina non possiamo non guardare alla generosità delle popolazioni che stanno accogliendo a braccia aperte gli sfollati di guerra. Eppure fino a poco tempo fa, invece di una eroica generosità tante popolazioni rispondevano con i muri. Dobbiamo fare in modo che questo rinnovato spirito di fratellanza non si perda e si apra a tutti. Il Papa viene a darci un messaggio chiaro: non possiamo parlare di accoglienza facendo distinzioni. Perciò ci auguriamo che la risposta positiva delle popolazioni europee che stiamo osservando in queste settimane di guerra possa continuare anche dopo questa emergenza.

Più volte lei personalmente si è espresso condannando decisioni politiche, locali e internazionali, che violano i diritti umani fondamentali. Quali sono i principali ostacoli che questi appelli incontrano?
Non ci sono solo i muri fisici, ma gli impedimenti burocratici. Penso in particolare al Regolamento di Dublino che obbliga il migrante a restare nel Paese di primo ingresso. Nel caso dell’Ucraina si sta facendo una eccezione, consentendo la redistribuzione in tutta Europa, ed è una cosa giusta. Ma quando si tratta del “Corridoio Mediterraneo”, l’accoglienza resta a carico di Paesi come Malta, Italia e Spagna. Noi abbiamo bisogno di condivisione tra i popoli.

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