martedì 20 febbraio 2018
L'accidia è il contrario della sete, del desiderio di vita: questo il tema al centro della quarta meditazione degli Esercizi spirituali per il Papa e la Curia Romana
La quarta meditazione: l'accidia ci fa ammalare
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È l’accidia, la perdita del sapore di vivere, il perno della riflessione di don Josè Tolentino de Mendonça, il sacerdote che sta predicando gli Esercizi spirituali al Papa e alla Curia Romana ad Ariccia. Si tratta della prima Meditazione nel terzo giorno di Esercizi spirituali che ricorda che l’accidia talvolta ci assale e ci fa ammalare. È in fondo il contrario della sete, filo conduttore di queste meditazioni.

Ne dà notizia Vatican News

Quando rinunciamo alla sete, allora cominciamo a morire. Quando desistiamo dal desiderare, dal trovare gusto negli incontri, nelle conversazioni, negli scambi, nell'uscita da noi stessi, nei progetti, nei lavori, nella preghiera stessa. Quando diminuisce la nostra curiosità per l'altro, la nostra apertura all'inedito, e tutto ci suona come un riscaldato déjà vu che avvertiamo come un peso inutile, incongruente e assurdo, che ci schiaccia.

Sembra che la vita che “io vivo” sia quella di un’altra persona, ricordava Kierkegaard mentre Evagrio Pontico parlava del “demone dell’accidia” e Cassiano parlava delle conseguenze nella vita del monaco: in sostanza un’insoddisfazione profonda, che porta alla perdita dell’entusiasmo. La stessa Evangelii gaudium mette in guardia dalla “psicologia della tomba”, che porta ad attaccarsi ad una tristezza dolciastra.

Gli stati depressivi non si curano solo con farmaci

La contemporaneità “ha medicalizzato l’accidia affrontandola come una patologia che va trattata dal punto di vista psichiatrico”. “Anche dentro un quadro clinico” – avverte il sacerdote - “è evidente che l’accidia o gli stati depressivi” non si possono curare solo con le “pastiglie” ma “devono coinvolgere nella cura la persona intera”. “Ci sono molte sofferenze nascoste la cui origine dobbiamo scoprire che si radica nel mistero della solitudine umana”. E quindi rimangono un tema dell’itinerario spirituale.

Il burnout: un esaurimento emotivo

C’è poi un altro problema che “si estende sempre più”: il burnout”, che letteralmente significa “bruciarsi”, un esaurimento emotivo, che può colpire anche i sacerdoti. In generale quando ci si sente abbandonati rimane solo un vuoto” da riempire di angoscia o con falsi palliativi come la mondanità, l’alcol, i social network, il consumismo o l’iperattività. C’è chi porta le ferite di lutti o fallimenti, chi quelle di abbandono o abusi di quando erano bambini, chi della povertà economica, chi della guerra.

Giona, Giacobbe e il giovane ricco

Due le figure che possono far capire questa dinamica. Nella storia di Giona si vede come questo dialogo tra sordi sia spesso il nostro rapporto con Dio nel quale non si ode perché si è “riluttanti al contenuto della volontà di Dio”, alla logica della Sua misericordia. Giacobbe invece lottò con Dio fino all’alba: in lui c’è un desiderio di vita mentre Giona è “capriccioso”, collide con il desiderio di vita di Dio che vuole introdurre tutti in una relazione esistenziale nuova. La tristezza legata all’accidia ricorda poi quella del giovane ricco, che obbediva a tutti i comandamenti ma nell’ora decisiva preferì i suoi beni invece dell’avventura aperta di vivere nella fiducia : “non è raro – afferma don Josè Tolentino de Mendonça – che la nostra tristezza provenga da questa incapacità”.

La questione del desiderio

Bisogna dunque fare un esame sulla devitalizzazione del desiderio: non sempre il problema è l’eccesso di attività quanto di non avere le motivazioni adeguate.

Amare come Gesù

La risposta a tutto questo è Gesù. Il legame con Lui passa necessariamente per la configurazione nella Passione: “il nostro cuore matura in quella capacità di arrivare al punto di soffrire per ciò e coloro che si amano alla sua maniera”. Nella parola della sposa dell’Apocalisse “vieni”, si rivela la necessità profonda che la Chiesa prova in rapporto alla venuta dello Spirito, come metteva in rilievo anche Simone Weil.

In questa parola c'è la traccia di tutto ciò di cui abbiamo bisogno, la ragione del nostro grido, la ragione della nostra speranza e, molte volte, la ragione della nostra disperanza, del nostro fallimento, della nostra stanchezza, e la necessitò di superare tutto questo in Dio. Colui al quale oggi diciamo “Vieni!” è lo stesso che ci dice: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me».

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