sabato 12 maggio 2018
Bergoglio: il miglior antidoto contro le falsità sono le persone: persone che, libere dalla bramosia, sono pronte all’ascolto e attraverso un dialogo sincero lasciano emergere ciò che è vero
Papa Francesco: le fake news si vincono con la verità
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Era il 7 maggio 1967 quando la Chiesa celebrava la prima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. L’aveva voluta il Vaticano II, l’unica “partorita” direttamente dal Concilio, ed era stata annunciata con il decreto Inter mirifica dedicato agli «strumenti di comunicazione sociale». A promulgare il testo datato 4 dicembre 1963 era stato Paolo VI. E lo stesso papa Montini avrebbe firmato il Messaggio della Giornata d’esordio dove per tre volte tornava la parola «verità» da «diffondere nelle menti», scriveva il Pontefice, che metteva anche in guardia da «false prospettive», «ingannevoli illusioni» e «allettamenti degradanti» proposti dai media.

A distanza di mezzo secolo quelle intuizioni di Paolo VI vengono come rilette e attualizzate da papa Francesco nel Messaggio per la 52ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che si celebra domenica 13 maggio, ossia – come vuole la tradizione – nella domenica dell’Ascensione. Perché sono proprio la «verità» e il «fenomeno delle “false notizie”» al centro della riflessione di Bergoglio che ha per titolo un versetto tratto dal Vangelo di Giovanni “La verità vi farà liberi” e come sottotitolo “Fake news e giornalismo di pace”.

Nel testo – diffuso come ogni anno lo scorso 24 gennaio in occasione della memoria liturgica di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti – il Papa spiega che «l’uomo, se segue il proprio orgoglioso egoismo, può fare un uso distorto anche della facoltà di comunicare, come mostrano fin dall’inizio gli episodi biblici di Caino e Abele e della Torre di Babele» e che «l’alterazione della verità è il sintomo tipico di tale distorsione, sia sul piano individuale che su quello collettivo». Bergoglio indica la «prima fake news»: è quella prodotta dal «serpente astuto», di cui parla la Genesi, che «portò alle tragiche conseguenze del peccato, concretizzatesi poi nel primo fratricidio e in altre innumerevoli forme di male contro Dio, il prossimo, la società e il creato».

La strategia dell’abile “padre della menzogna” è «la mimesi, una strisciante e pericolosa seduzione che si fa strada nel cuore dell’uomo con argomentazioni false e allettanti». Così accade con le informazioni infondate proposte da media e reti sociali, «basate su dati inesistenti o distorti e mirate a ingannare e persino a manipolare il lettore» la cui «diffusione può rispondere a obiettivi voluti, influenzare le scelte politiche e favorire ricavi economici». E una loro caratteristica è proprio la «natura mimetica, cioè la capacità di apparire plausibili» a cui si aggiunge il fatto che «queste notizie, false ma verosimili, sono capziose, nel senso che sono abili a catturare l’attenzione dei destinatari, facendo leva su stereotipi e pregiudizi diffusi, all’interno di un tessuto sociale, sfruttando emozioni facili e immediate da suscitare, quali l’ansia, il disprezzo, la rabbia e la frustrazione». Il «dramma della disinformazione» porta allo «screditamento dell’altro, alla sua rappresentazione come nemico, fino a una demonizzazione che può fomentare conflitti». Ecco perché, avverte Francesco, non bisogna «diventare involontari attori nel diffondere opinioni faziose e infondate».

Da qui il richiamo. «Il miglior antidoto contro le falsità non sono le strategie, ma le persone: persone che, libere dalla bramosia, sono pronte all’ascolto e attraverso la fatica di un dialogo sincero lasciano emergere la verità; persone che, attratte dal bene, si responsabilizzano nell’uso del linguaggio». E per debellare questo il «virus della falsità» serve «lasciarsi purificare dalla verità» che «è ciò su cui ci si può appoggiare per non cadere», afferma il Pontefice. Emerge dunque la responsabilità del giornalista. «Egli – sottolinea il Papa – svolge una vera e propria missione. Ha il compito, nella frenesia delle notizie e nel vortice degli scoop, di ricordare che al centro della notizia non ci sono la velocità nel darla e l’impatto sull’audience, ma le persone». Quindi l’invito «a promuovere un giornalismo di pace, non intendendo con questa espressione un giornalismo “buonista”, che neghi l’esistenza di problemi gravi e assuma toni sdolcinati» ma che sia «senza infingimenti, ostile alle falsità, a slogan ad effetto e a dichiarazioni roboanti» e rappresenti un «servizio a tutte le persone, specialmente a quelle – sono al mondo la maggioranza – che non hanno voce».

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