In Italia a settembre i prezzi sono calati dello 0,3% rispetto al mese precedente e l’inflazione acquisita per il 2015 è dello 0,1%. Nell’Eurozona l’inflazione sempre rispetto al mese scorso è in calo dello 0,1%. Le cose non vanno molto diversamente altrove con l’inflazione prevista per il 2015 pari allo 0,2% negli Stati Uniti, allo 0,4% in Germania, 0,1% nel Regno Unito e -1% in Svizzera. Anche i tassi dei nostri titoli di Stato sono calati sotto lo zero e quelli dei mutui a livelli mai così bassi per chi compra casa. Nei Paesi ad alto reddito le previsioni sulla dinamica dell’inflazione continuano ad essere corrette al ribasso nonostante l’enorme quantità di denaro riversata sui mercati dai vari
quantitative easing (il riacquisto da parte delle Banche centrali di titoli del debito pubblico) dovrebbe aumentare la domanda e le pressioni sui prezzi. Continuiamo a sorprenderci per il fatto di vivere in un mondo senza inflazione, anche se non dovrebbe essere così.L’inflazione non è altro che la somma delle variazioni dei prezzi di beni e servizi (che a sua volta può dipendono da pressioni determinate dalle variazioni dei costi dei processi produttivi e di salari e prezzi delle materie prime). Tutte queste variabili si muovono pochissimo perché nei mercati globali sempre più concorrenziali i lavoratori dei Paesi ad alto reddito competono con "l’esercito di riserva" di chi vive con un dollaro o due dollari al giorno. E sarà così finché le condizioni dei lavoratori vietnamiti, cinesi, turchi e polacchi non si avvicineranno sensibilmente a quelle dei lavoratori dei Paesi più ricchi. Le imprese concorrono tra di loro cercando di ridurre i costi e i prezzi. Impossibile dunque in questo contesto alzare i prezzi a meno di non avere rendite di posizione monopolistiche o oligopolistiche, ma i settori in cui questo avviene sono sempre di meno. L’innovazione tecnologica ci mette del suo fornendoci prodotti di qualità maggiore a prezzi più bassi e riducendo i costi dei processi produttivi. Infine, sono le stesse caratteristiche dell’innovazione in rete che spingono i prezzi al ribasso. La rete aumenta enormemente la velocità di circolazione della conoscenza favorendo nuove scoperte riducendo il rapporto tra prezzi e qualità dei prodotti (come, appunto, nel settore dei personal computer dove il prezzo per unità di processore, cioè in rapporto alla potenza di calcolo, è crollato). Inoltre molta dell’innovazione in rete finisce nella
sharing economy , l’economia della condivisione che produce beni e servizi ancora meno cari e più competitivi rispetto alla tradizionale economia di mercato.Vivere in un mondo senza inflazione comporta benefici ma anche svantaggi. Il beneficio principale è che il valore della moneta, e con esso il nostro potere d’acquisto, non si riduce nel tempo. Un’ottima notizia per tutti i percettori di reddito non indicizzato all’inflazione come ad esempio i pensionati. Se l’inflazione, come è noto, trasferisce ricchezza dai creditori ai debitori riducendo il valore reale dei debiti l’assenza d’inflazione produce l’effetto contrario. Creando problemi ai debitori (privati e/o sovrani) e riducendo la loro solvibilità. Un’altra insidia è che il confine tra assenza d’inflazione e deflazione è molto sottile. E la deflazione ha effetti piuttosto negativi sull’attività economica perché riduce ricavi e utili a parità di quantità venduta oltre a spingere i consumatori a ritardare i loro acquisti sperando in un’ulteriore diminuzione dei prezzi. Un altro svantaggio è che la moneta iniettata nel sistema dalle banche centrali (proprio per contrastare il rischio deflazione) non potendo generare inflazione nell’economia reale la produce nei mercati finanziari gonfiando i prezzi degli
asset e creando rischi di bolle speculative e crisi finanziarie. Alle quali si risponde creando altra moneta per rimpiazzare quella che esse distruggono. E il ciclo riparte.Come vivere in un mondo senza inflazione? Continuando a stimolare la domanda per evitare la trappola della deflazione, ma soprattutto riformando i mercati finanziari per evitare i rischi delle bolle speculative e aumentare la capacità della finanza di servire l’economia reale. Con regole meno severe nei confronti dei debitori che aggiustino il costo del debito per gli effetti negativi della deflazione, con politiche fiscali di riduzione del prelievo fiscale che trasferiscano i benefici del
quantitative easing verso cittadini e imprese. E, ovviamente, migliorando le condizioni degli ultimi (dei lavoratori a un dollaro o a due dollari al giorno) che sono la radice ultima del problema che stiamo vivendo.