giovedì 27 settembre 2012
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Per evitare ogni pretestuosa polemica appare opportuna una (altrimenti scontata) premessa: gli autori di quest’articolo sono ovviamente contrari a ogni forma di violenza, contro chiunque indirizzata, e riconoscono l’esigenza di proteggere in particolare (ma non solo) le donne da certi reati, dai quali sono state gravemente colpite nel corso degli anni. Spiace, tuttavia, rilevare che una causa fondamentale, come quella della tutela delle donne, sia stata sfruttata ad altri fini, come è avvenuto con la 'Convenzione per prevenire e reprimere la violenza contro le donne e la violenza domestica', elaborata in seno al Consiglio d’Europa e aperta alla firma ad Istanbul nel 2011.La Convenzione si occupa specificamente di violenza contro le donne ('women' nel testo inglese e 'femmes' in quello francese), muovendo dal presupposto che queste siano, più degli uomini e specie nelle situazioni critiche, soggette a violenze di vario genere, tutte – ovviamente – detestabili e fortemente ripugnanti. La Convenzione stabilisce una serie di obblighi in capo agli Stati contraenti: dall’introduzione di apposite previsioni normative all’adozione di politiche preventive e repressive, dalla catalogazione di dati alla sequela delle vittime degli atti di violenza, dalla previsione di strumenti di tutela alla creazione di un gruppo di esperti con il compito di monitorare l’applicazione della Convenzione.Prendendo spunto dalla necessità di risolvere problemi gravissimi, tra i quali anche gli aborti forzati e le mutilazioni genitali, si è cercato tuttavia di rafforzare, nell’ordinamento internazionale, una nuova visione della persona e della sua identità sessuale, assai preoccupante, fondata sul concetto di gender ( genere), utilizzato in alcuni documenti dell’Organizzazione mondiale della sanità, che nulla ha a che fare con la finalità specifica della Convenzione. È noto che l’ideologia del gender parte dal presupposto che il sesso non costituisca un carattere biologico e naturale, bensì un’opzione individuale, culturale e sociale, secondo una visione che ha trovato già spazio in testi ufficiosi del Consiglio d’Europa.Le conseguenze di un tale approccio sono quanto mai pericolose. Infatti, se il genere è un’opzione culturale o una mera categorizzazione sociale, ciascuno può scegliere liberamente a quale genere appartenere e passare da uno all’altro ad libitum . Nel diritto internazionale solo lo Statuto della Corte Penale Internazionale contiene una definizione di 'genere' che, approvata dopo molti contrasti, è il frutto di un compromesso tra le diverse posizioni e considera comunque la differenza biologica tra i sessi come punto di riferimento. Diversamente la Convenzione in esame si fonda su un approccio legato al gender di tipo esclusivamente sociologico, che trascura e svaluta le differenze biologiche esistenti tra uomini e donne. Essa fornisce una definizione di 'genere', così ampia e dai contorni volutamente incerti, da non avere nulla a che vedere con l’oggetto e lo scopo di detto strumento.La Convenzione viene, dunque, utilizzata come un pretesto per far passare, a livello internazionale, una definizione sulla quale esistono tuttora forti dissensi tra gli Stati. Giovedì scorso il Senato della Repubblica ha approvato delle mozioni che impegnano il Governo a firmare e a presentare il disegno di ratifica della Convenzione, previa verifica della sua «conformità ai principi e alle norme della Carta costituzionale». E l’Italia procederà oggi alla firma – secondo quanto comunica il Consiglio d’Europa – a Strasburgo tramite il ministro del Lavoro Elsa Fornero. Ed è proprio qui il punto: la Costituzione italiana parte da un approccio completamente opposto rispetto a quello dell’ideologia del gender , fondandosi sul dato naturale dell’esistenza di un sesso maschile e di un sesso femminile, eguali nei diritti (artt. 3, 29, 30, 37, 117 Cost.). Tale dato naturale è avversato dall’ideologia del gender , che tenta di cancellare – nuova forma di violenza – le peculiarità e le differenze che segnano la bellezza e la grandezza di ciascun uomo e di ciascuna donna.
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