Mi sono riconciliato con la montagna. La frequento ormai da 50 anni, da quando andavo alle medie. Con mia moglie Lorenza ho percorso oltre 80 vie ferrate. Con amici sono stato su alcuni quattromila. Amo le cime. Per primo ce le ha fatte amare il parroco della nostra adolescenza. Poi, una passione che ancora arde mi fa andare per sentieri e rifugi ogni volta che posso.
È in quell’ambiente così maestoso che negli anni abbiamo sempre trascorso le nostre ferie, dai tempi dei campi- scuola e ancora oggi con la vacanza dedicata alle famiglie. La tragedia della Marmolada del 3 luglio scorso, lo devo ammettere, ha scosso anche me. Sarà che su quel ghiacciaio e in quel punto ci sono passato tre volte (in due occasioni in un giorno solo per l’andata e il ritorno della direttissima per punta Penia, un’altra volta in discesa dopo aver percorso la ferrata lungo la cresta ovest) ma quelle immagini e la morte di quegli alpinisti mi hanno lasciato una ferita aperta. A fine luglio siamo tornati sulle Dolomiti, con molti amici, vecchi e nuovi. Sentivo che avevo qualcosa che non andava. La montagna era sempre la stessa, ma quest’anno mi incuteva timore, e anche po’ di rabbia, per qualcosa che forse in me si era spezzato.
Avevo bisogno di ricucire. Avevo guardato e riletto più volte un itinerario per me nuovo, in zona Sappada, nell’alta Val Sesis, tra Veneto e Friuli. In quei posti meno affollati rispetto alle mete più blasonate, c’è una cima su cui è salito, il 20 luglio 1988, Giovanni Paolo II. Su quella cresta così combattuta durante la Prima guerra mondiale dove ancora sono visibili trincee e reticolati, il pontefice salì lungo la via normale. La montagna è percorribile dal versante sud per la ferrata Sartor. Avevo chiesto notizie ad amici che conoscono il tragitto. Mi sono informato, poi ho chiamato il rifugio Calvi e ho prenotato il pernottamento per la sera di venerdì 26 agosto. Un’ora a piedi separa il rifugio dedicato alle sorgenti del fiume Piave dove si lascia l’auto da quello aperto nell’ormai lontano 1926, appollaiato tra il Peralba e il Chiadenis, in una posizione d’incanto. Saliamo nel silenzio più assoluto, a tratti surreale. Solo i sibili delle marmotte lo infrangono. Ogni tanto ci fermiamo per ammirare ciò che ci circonda. Arriviamo al rifugio alle 18. La signora Anna è campione d’ospitalità, e con lei la sua famiglia. Nel locale tutto narra della storica visita di Karol Wojtyla. Ci sono numerose foto e incorniciato si ammira il registro con la firma di Giovanni Paolo II. Siamo in pochi e si fa presto a fare conoscenza.
Scopriamo che un gruppo di cinque persone proviene dalla Romagna, due sono di Cesena come noi. Il sesto escursionista è Roberto Zucchet, in cammino da 70 giorni. È partito da Ventimiglia e ha percorso a piedi quasi tutto il confine, lungo le Alpi. Arriverà a Trieste attorno al 7 settembre. Anche in questo la montagna è maestra. Le persone che si incontrano diventano compagni di viaggio. Invitiamo Roberto al nostro tavolo. Ci racconta la sua avventura. Ci confida che si tratta del regalo per il suo pensionamento. Noi ascoltiamo meravigliati e con un briciolo di invidia. Lui parla volentieri. Di solito, ci dice, lo mettono in un tavolo da solo e non dialoga quasi mai con nessuno. Prima di riposare rileggiamo da vari siti specializzati le previsioni meteo per l’indomani: sembra che il tempo conceda una tregua solo nelle prime ore della mattina. Durante la notte scoppia un violento temporale. Alle sei siamo già in piedi. Qualche squarcio di luce nel cielo si intravede. Decidiamo di partire. Poco dopo le sette siamo in cammino. In breve raggiungiamo l’attacco della ferrata. Poi su in fretta verso la cima, grazie anche ai moschettoni e a una via mai difficile, ma neppure banale, e molto ben tenuta. In parete, trovo il tempo per immortalare qualche bel ricordo. L’ultima mezz’ora si svolge su sentiero e roccette.
Qui i bollini rossi risultano per noi decisivi, visto che il percorso e la Madonnina di vetta vengono avvolti dalle nubi. La soddisfazione per la cima conquistata è enorme e l’emozione di essere davanti alla statua di Maria dove si è fermato a pregare il Papa assegna alla nostra piccola impresa un sapore unico. Batto forte cinque volte la campana accanto alle due croci. Ci facciamo sentire da tutta la valle. Oggi solo noi siamo saliti sul Peralba, a 2.694 metri di quota. Solleciti ci dirigiamo verso la discesa che si svolge lungo la normale, sul lato nord della montagna. Incrociamo l’ennesimo ricordo dell’ascesa papale. Un senso di gratitudine e commozione riempie i nostri cuori che da quassù, nonostante la nebbia, spaziano lontano. Rimane il tempo per un’invocazione ad alta voce: «San Giovanni Paolo II, proteggi sempre la Chiesa, la nostra famiglia e il mondo».