Giovanni Battista A. Gandelli, Milano
Impegnarsi a "leggere" il tricolore è un esercizio antico e un po’ retorico. Ma devo dire, gentile signor Gandelli, che la passione e l’emozione che traspaiono dalle sue parole mi hanno colpito. Ho tenuto la sua lettera sulla scrivania, con alcune altre, altrettanto intense e di diverso argomento, quasi aspettando il momento giusto per rispondere. Ma in realtà la questione che lei pone è di quelle che godono, purtroppo, di una permanente e persino lancinante attualità. Alla sua domanda – come si fa, oggi, a trasmettere i grandi valori che fanno sentire "popolo"? – si può rispondere in modi lunghi e complicati, ma io vorrei farlo nella maniera più semplice: prima di ogni altra cosa bisogna non avere paura di tornare a dire con chiarezza che amare la propria terra è giusto e bello e che essere utili al proprio Paese non è solo un dovere, ma è un onore. A me hanno insegnato ad amare l’Italia, e per questa via ho imparato ad amare il mondo e a credere, da cristiano e da italiano, che è davvero la casa di tutti nella quale dobbiamo imparare ad abitare e a muoverci con libertà e rispetto, sapendo di essere "condomini" e mai padroni assoluti. La consapevolezza di sé, il senso del "servizio" e la solidarietà s’imparano in famiglia, si sperimentano nella dimensione della comunità ristretta, si spendono o, meglio, s’investono nell’apertura alla comunità più grande... Può suonare retorico, ma è così. E so che a forza di fuggire dalla retorica (vera o presunta) abbiamo finito per rendere virtuale la trasmissione di idee e valori che, come lei dice, sono invece essenziali per costruire l’uomo e il cittadino.Un altro grande errore – ne sono convinto da anni – è stato quello di aver sospeso la leva militare obbligatoria e la sua alternativa, il servizio civile svolto dagli obiettori di coscienza (tanto più che l’attuale servizio civile volontario è ridotto ai minimi termini, come Avvenire ha segnalato più volte). Credo, infatti, che sia potentemente formativo imparare che bisogna 'dare' un po’ della propria vita alla comunità di cui si è parte e che esiste come tale per cultura e fatica e allegria e fede.Credo, insomma, che sia importante che ai giovani si faccia capire che c’è un tempo di vita che è giusto dare per sé ma non solo per sé – per quel 'noi' evocato così bene qualche tempo fa dal cardinale Bagnasco – e che non si tratta di un saldo, ma di un acconto. Perché questo è vivere in pienezza da uomo o da donna, dentro la lunga vicenda di un popolo e di un Paese che sono "nostri".
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