martedì 23 agosto 2022
L’ipotizzato ricorso al nucleare come alternativa al gas rimette l’Occidente in mano alla Russia, che ha un ruolo nevralgico nel commercio della materia prima e nel suo arricchimento
Tra possibile aumento nell’uso di energia atomica per scopi civili e lo spettro del suo sfruttamento bellico

Tra possibile aumento nell’uso di energia atomica per scopi civili e lo spettro del suo sfruttamento bellico - Ansa

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La recrudescenza della guerra tra Russia e Ucraina ha riportato l’attenzione sul tema del nucleare. Da un lato la dipendenza dal gas russo in molti Paesi europei – tra cui l’Italia – ha rinvigorito le opinioni a favore degli investimenti pubblici in centrali nucleari per la produzione di energia elettrica. Dall’altro, la guerra ha riportato vividamente a galla incubi del passato in merito all’eventualità di un conflitto nucleare. E questi due piani si intersecano quando leggiamo di attacchi e combattimenti nei pressi di centrali, come negli ultimi giorni rispetto a quella di Zaporizhzhia. In realtà il settore nucleare è nevralgico non solo in questa contesa ma anche e soprattutto negli equilibri di lungo periodo del sistema mondiale.

Negli ultimi anni, infatti, in seguito a cambiamenti nel mercato dell’uranio lo scenario di riferimento si è modificato in maniera sostanziale rispetto a quello della Guerra Fredda. Al momento l’attore più influente per quanto attiene all’uranio naturale e all’uranio arricchito è la Russia di Putin, e i Paesi occidentali sono a esso legati in maniera evidente. Non è un caso infatti che nel pacchetto di sanzioni che Usa e Ue hanno predisposto nello scorso marzo contro il Cremlino non era incluso l’uranio. Il settore energetico degli Stati Uniti è fortemente dipendente dalle importazioni di uranio da Russia, Kazakhstan e Uzbekistan. Secondo l’Eia (l’Energy Information Administration degli Usa) nel 2021 il 35% dell’uranio utilizzato nei reattori nucleari americani proveniva dal Kazakhstan, il 15% dal Canada, il 14% dalla Russia e il 7% dalla Namibia. È necessario, però evidenziare che attraverso una sussidiaria dell’azienda di Stato russa Rosatom, e precisamente la Uranium One, il Cremlino può vantare partecipazioni in tutti i Paesi summenzionati e financo negli stessi Stati Uniti, precisamente in una miniera nel Wyoming. Per i paesi dell’Unione Europea la situazione di di- pendenza è simile: nel 2021 il 20% dell’uranio proveniva dalla Russia e il 23% dal Kazakhstan.

Unitamente alla disponibilità di uranio naturale, ancora più importante è il fatto che la Russia disponga quasi della metà della capacità a livello globale di servizi di arricchimento dell’uranio. Questo aspetto, in particolare, ne rafforza in maniera sostanziale il ruolo e la capacità di influenza. Negli ultimi anni la strutturazione del mercato in questa direzione era stata favorita da un aumento delle estrazioni e quindi dall’abbassamento del prezzo dell’uranio a livello mondiale. E infatti, la diminuzione del prezzo aveva reso meno profittevole l’estrazione negli Stati Uniti, dove nel 2021 le importazioni di uranio sono state cinque volte maggiori rispetto agli acquisti da fonti domestiche.

L’influenza di Putin sul mercato mondiale dell’uranio conduce inevitabilmente a due riflessioni. In primo luogo, il ricorso al nucleare, indicato da molti osservatori come la soluzione appropriata non solo per limitare la dipendenza dal gas ma anche per sostituire altre fonti fossili, significherebbe divenire più dipendenti dalla Russia di Putin e dai suoi attuali alleati e non viceversa. La diversificazione delle fonti, infatti, non potrebbe essere realizzata in tempo breve anche mantenendo costante il numero di reattori esistenti. Per un Paese come l’Italia, già dipendente dal gas russo, approvare un programma nucleare significherebbe consegnarsi del tutto al Cremlino. In secondo luogo, ben più importante è il tema del nucleare militare e della minaccia che esso rappresenta. Il legame tra nucleare civile e nucleare militare non è più messo in discussione in virtù del fatto che oramai nelle considerazioni degli analisti quello che conta in termini strategici nel lungo periodo non è solamente la disponibilità ma piuttosto la latenza, vale a dire la capacità tecnologica di sviluppo della 'Bomba'. Per questo motivo l’attenzione sulla diffusione dell’energia nucleare a scopi civili non può essere disgiunta da quella sulla proliferazione delle armi nucleari.


La dipendenza occidentale rispetto alle importazioni da Mosca ha fatto escludere sinora la risorsa naturale per le centrali dai pacchetti di sanzioni per l’invasione dell’Ucraina

I prezzi bassi a livello mondiale degli ultimi anni e la posizione dominante russa nei servizi di arricchimento dell’uranio hanno favorito il fatto che alcuni Paesi – sovente non democratici – già legati a Mosca vogliano dare avvio a programmi nucleari. Peraltro, come indicato solo poche settimane fa dal direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia Faith Birol, dei 31 reattori in costruzione a partire dal 2017, ben 27 sono di progettazione russa o cinese. Questo tipo di considerazioni, peraltro, arrivano in un momento in cui è in cor- so (dal 1° agosto e fino a venerdì 26) la decima conferenza per la revisione del Trattato di non proliferazione nucleare Tnp. Entrato in vigore nel 1970, il Tnp ha rappresentato per molti anni l’architrave delle politiche di non proliferazione degli armamenti nucleari ma al momento è da molti considerato inadeguato e di difficile revisione. Inutile dire che la conferenza si è aperta in un clima di profonda sfiducia in virtù delle tensioni diplomatiche che discendono dalla guerra tra Russia e Ucraina e che sarà difficile raggiungere un risultato apprezzabile.


Più estrazioni, prezzi in calo: agli Usa ora conviene importare L’azienda di Stato russa Rosatom è azionista di una miniera in Wyoming Una miniera di uranio in Finlandia

In ogni caso, unitamente a considerazioni già note in merito alle armi nucleari, uno dei motivi che rischia di rendere il Tnp inefficace è il fatto che esso non considera il rischio-proliferazione partendo dalla struttura di mercato che sottende sia alla produzione di armi nucleari sia alla diffusione dell’energia nucleare a scopi civili. Difficile pensare che si possa bloccare la proliferazione di armi nucleari se la Russia di Putin, Paese leader nei servizi di arricchimento dell’uranio a livello mondiale, ha fatto del-l’offerta di armi a livello globale a favore di non-democrazie uno dei capisaldi della propria politica estera. Nella 'diplomazia nucleare' sarebbe necessario un cambio di rotta che non contempli esclusivamente gli arsenali ma anche le strutture e le dinamiche di mercato che consentono la costruzione di questi. In tal senso, la diffusione di uranio a buon mercato degli ultimi anni andrebbe scoraggiata attraverso un meccanismo permanente di controllo dei prezzi, e nel contempo l’offerta dei servizi di arricchimento di uranio dovrebbe divenire oggetto di negoziato non solo per favorire lo sviluppo di nuove strutture in altri Paesi, in modo da scongiurare attività improprie che favoriscano una nuova diffusione della 'Bomba' nei prossimi anni.

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