La classe media si è ristretta, anche in Italia, proprio in Italia. Ce ne eravamo già resi conto, per la verità, anche solo sulla base di osservazioni spicciole della quotidianità della nostra gente. Ma i dati di un’accurata ricerca della fondazione Einaudi ci costringono a fermare l’attenzione su un fenomeno serio e grave: dal 2007 a oggi la classe media si è indebolita davvero molto. Considerando come classe media quella con un reddito tra il 75% e il 125% del reddito del Paese (una forbice che va da 1.826 euro a 3.043 euro mensili per la classe d’età tra i 45 e i 54 anni), la percentuale è passata dal 57,1% del 2007 al 38,5% del 2015 con un uscita dal gruppo di circa 7 milioni di italiani. Tutto questo ha avuto e ha effetti significativi sulla dinamica dei consumi, con contraccolpi sensibili in settori come quelli delle vacanze, delle spese mediche private, degli spettacoli e dell’abbigliamento. In alcuni casi vengono a mancare anche per questa classe media decaduta le risorse necessarie per investire nell’istruzione superiore e nel futuro dei propri figli. Al fenomeno hanno contribuito diversi fattori. Il primo e più generale è la combinazione della globalizzazione e dell’innovazione tecnologica che rende sempre più obsoleti e difficili da difendere i lavori nel settore della 'conoscenza routinaria' della produzione standardizzata. In questo ambito, i lavoratori a bassa qualifica ma buone tutele dei Paesi ad alto reddito sono sempre più in difficoltà nella concorrenza con le macchine e con l’'esercito di riserva' dei lavoratori a un dollaro al giorno. Esistono varie leve per contrastare questo fenomeno, ma purtroppo dall’inizio della crisi non abbiamo saputo o potuto utilizzarle appieno. Una prima leva è quella delle politiche fiscali e monetarie espansive post-crisi che, a differenza degli Stati Uniti (che hanno rapidamente riassorbito le perdite di occupati), non abbiamo utilizzato nell’Eurozona. Grazie all’accentramento e alla rapidità delle decisioni di politica fiscale e a una banca centrale (la Federal Reserve) che ha messo al centro della propria azione la riduzione della disoccupazione gli Stati Uniti, con un esperimento riuscito di politica keynesiana post-crisi, si sono ripresi immediatamente mentre noi europei solo dopo 7 anni abbiamo avviato il
quantitative easing (l’acquisto di titoli di Stato da parte della Banca centrale europea) e ancora stentiamo ad avviare una politica fiscale europea comune. La seconda leva, che ci è ormai preclusa (e non è detto possa funzionare bene come in passato nelle filiere globali), è quella della flessibilità del cambio. Una terza strada consiste nel colmare il 'gap di qualità' del nostro sistema Paese rispetto ai migliori esempi continentali e internazionali. Nonostante gli sforzi realizzati su questo fronte siamo ancora indietro su fattori fondamentali come quelli dell’efficienza della giustizia, dell’accesso alle tecnologie di rete e alla banda larga. E soffriamo di un divario tra Nord e Sud d’Italia che, se possibile, si è ancora acuito trascinando la media nazionale verso il basso. Esiste poi una politica di contrasto e di rilancio dei territori che va assolutamente intrapresa e consiste nel valorizzare quell’insieme di fattori competitivi non delocalizzabili rappresentati da innovazione, arte, cultura, paesaggio che rappresentano un unicum di ricchezza di quasi ogni area del nostro Paese. La creazione di consorzi per la tutela e la valorizzazione di questi patrimoni è fondamentale per rendere tali aree capaci di attirare i flussi buoni, quelli dei capitali pazienti, dei lavoratori qualificati, delle presenze turistiche. Esempi virtuosi di distretti culturali e produttivi dovrebbero essere studiati e presi a modello. È infine necessario avere come obiettivo quello della migrazione della nostra forza lavoro dal settore della produzione standardizzata a quello dell’intelligenza generativa, che deve essere applicata in modo diverso a ogni nuova situazione e, dunque, è in grado di competere efficacemente con le macchine e il lavoro a bassa qualifica e a basso costo. È un lavoro che inizia dal mondo della scuola dove deve essere stimolata la capacità di affrontare e risolvere i problemi e che ha bisogno comunque di reti di protezione universali 'intelligenti' (sussidi, redditi di cittadinanza) in grado di favorire la riqualificazione della forza lavoro inoccupata senza produrre dipendenza. In questo gigantesco e delicato processo di transizione verso un nuovo equilibrio abbiamo bisogno di un sistema finanziario e bancario con regole adeguate. Ricco di biodiversità, con separazione tra banca commerciale e banca d’affari e penalizzazione dei capitali impazienti per riorientare le ingenti risorse finanziarie circolanti al servizio dell’economia reale. Per vincere la sfida complessa della creazione di valore sostenibile e di senso nell’economia globale, ridando cittadinanza e spazio a una decisiva e vasta 'classe media', tutti questi elementi devono essere tenuti in debita considerazione.