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Dal primo numero del 70° anniversario del trimestrale "il Mulino", che per l'occasione si presenta in una nuova veste grafica, con un sito interamente ridisegnato (www.rivistailmulino.it) e con una redazione, guidata da Mario Ricciardi, composta da persone non ancora quarantenni, anticipiamo una parte del contributo dell'economista Gianluca Grimalda.
In un mondo che, oltre a quella legata al Covid-19, sta vivendo crescenti sfide globali, come il cambiamento climatico, le epidemie, l’insicurezza economica, le guerre e la migrazione, la cooperazione e il coordinamento globali sono necessari come non mai. Tuttavia, l’attuale risposta è caratterizzata da un miope ripiegamento verso visioni che enfatizzano la prevalenza di approcci nazionali, o perfino individua-li, su quelli internazionali o collettivi. «Prima gli americani», o «prima gli italiani», sono slogan e approcci alla vita politica che fanno leva sulla quasi viscerale tendenza degli individui a cercare conforto nel gruppo di riferimento, tendenza che si acuisce nei periodi di crisi e insicurezza. Questa svolta nazionalista potrebbe non essere casuale. Potrebbe segnalare un fallimento fondamentale dello Stato nazionale democratico nell’affrontare le sfide sistemiche e potrebbe evolversi in un crollo dei sistemi democratici, di cui la diffusione delle cosiddette «democrazie illiberali» potrebbe essere un primo sintomo.
Un Reddito di base universale globale sarebbe un potente strumento per invertire questa tendenza, migliorando sia la coesione sociale sia le governance mondiali. Avrebbe l’effetto di modellare un senso embrionale di identità collettiva globale negli individui di tutto il mondo, indipendentemente dalle loro condizioni o provenienze. Garantire il diritto universale a una vita dignitosa sosterrebbe l’idea che nessuno in nessun luogo deve essere abbandonato a sé stesso. Si può pensare che instillare questo senso di cittadinanza globale avrebbe delle ripercussioni positive sul quadro politico internazionale. In particolare, nei sistemi democratici, la diffusione di valori cosmopoliti rafforzerebbe la domanda da parte della cittadinanza affinché gli obbiettivi collettivi di natura globale acquisiscano priorità nelle agende di governance internazionale. Il nuovo senso di inclusione universale, generato da un Reddito di base universale globale, si rifletterebbe in un maggiore sostegno e legittimità per le istituzioni globali, e questo porterebbe una maggiore capacita di azione. Questo cambio di consenso non è ovviamente agevole, né automatico, né scontato. Affinché si rafforzi un sentimento di cittadinanza globale è essenziale che il Reddito di base universale globale venga presentato come una politica veramente globale, piuttosto che come una forma di aiuto internazionale dai Paesi ad alto reddito verso quelli a basso reddito.
Un Reddito di base universale globale sarebbe giustificato anche da motivi economici. Esistono varie situazioni che per le loro caratteristiche vengono chiamate «trappole della povertà». Nei Paesi a basso reddito, una delle ragioni del sottosviluppo e della persistenza della povertà e la mancanza di capitale (o credito) per finanziare attività imprenditoriali. Data l’impossibilita di finanziare attività che creerebbero ricchezza, le economie ristagnano e questo rende impossibile offrire credito bancario o sussidi alle attività imprenditoriali.
Un Reddito di base universale globale finanziato da tassazione globale sarebbe un modo per rompere tale circolo vizioso, offrendo risorse economiche affinché persone in stato di povertà possano iniziare attività imprenditoriali su scala minima. Esiste anche una «trappola della libertà», per i Paesi ad alto reddito, relativamente all’uscita dalla condizione di disoccupazione. Nei Paesi che utilizzano sussidi di disoccupazione, un disoccupato che vi rinunci per accettare un lavoro si trova di fronte, in molti casi, a un’aliquota di tassazione che è di fatto del 100%, poiché l’accettazione del lavoro comporta la fine del sussidio. Questa situazione determina quindi un disincentivo enorme a uscire dalla disoccupazione, che ha l’effetto di far perdurare la condizione di indigenza del disoccupato.
In tal senso, l’incondizionalità del Reddito risolve alla radice tale trappola, perché il trasferimento di reddito non viene perduto in caso di rientro nel mondo del lavoro attivo. Inoltre, il Reddito di base universale è una soluzione particolarmente efficace nei contratti di lavoro irregolari, e spesso precari, determinati dalla digitalizzazione, in cui non sempre è agevole associare le forme tradizionali di integrazione al reddito a forme di contratto «regolari». È importante sottolineare come il Reddito di cittadinanza istituito dal governo italiano nel 2019 non risolva il problema della trappola della povertà, perché comporta la perdita del trasferimento al momento dell’accettazione del posto di lavoro. Si potrebbe obbiettare che esiste un obbligo di accettazione di almeno una di tre offerte di lavoro congrue per il profilo lavorativo, ma è ben noto che in pratica tale obbligo diventa raramente effettivo a causa dei margini di incertezza su quale offerta possa essere considerata congrua.
Deve anche essere ricordato che un Reddito di base universale globale fornirebbe sostegno al reddito senza necessità di controllare l’idoneità del ricevente. La verifica di idoneità è costosa, perché l’autorità pubblica deve impiegare risorse per istituire tale processo. Ma è anche iniqua, poiché è noto che molte persone che hanno il diritto di ricevere il beneficio vengono escluse a causa della complessità del processo di verifica dei mezzi, o a causa dello stigma sociale che viene associato al processo di verifica. L’universalità del Reddito di base universale permetterebbe di superare entrambi questi ostacoli.
[...] Sarebbe ovviamente irrealistico pensare che nel breve periodo le probabilità di istituire una misura di questo tipo siano molto alte. Tuttavia, come notato da Thomas Piketty, molte riforme sembravano anch’esse prospettive utopiche prima di realizzarsi. È proprio in tempi di crisi che tali riforme strutturali hanno una possibilità più concreta di essere plasmate, come è accaduto per l’imposta sui redditi da lavoro, introdotta in molti Paesi prima della prima guerra mondiale per finanziare i costi del conflitto.
A seguito della diffusione della pandemia si è richiesto da più parti l’istituzione di trasferimenti in danaro incondizionati per ovviare al blocco di alcuni settori produttivi e al conseguente stato di disoccupazione, e un Reddito di base universale offre il grande vantaggio di offrire una rete sociale di supporto automatica nelle situazioni di crisi. Visto che è altamente probabile che gli strascichi economici dell’attuale pandemia si mantengano a lungo, e che un’altra pandemia si verifichi in un futuro non lontano, urge creare una rete di sostegno globale per affrontare tali situazioni di crisi. Tale rete sarebbe anche necessaria per affrontare le conseguenze della crisi climatica che, ai ritmi di sviluppo attuali, è da darsi per scontata per il medio termine.
Avere una visione globale è assolutamente necessario ed è di fatto nell’interesse generale degli stessi Paesi ad alto reddito, data l’interconnessione delle catene di fornitura globali. Oltre alle ragioni contingenti per l’istituzione di un Reddito relative alla pandemia, in questo saggio ho argomentato in generale sulle ragioni filosofiche, sociali, politiche ed economiche a supporto di questa idea. È ovvio che la sua istituzione richiederebbe una leadership globale illuminata e coraggiosa, che si faccia carico delle istanze qui presentate, oppure un cambio repentino di sentimento nella popolazione mondiale, che abbracci valori cosmopoliti. Anche se al momento è difficile vedere queste tendenze in atto in maniera sostanziale, non resta che auspicare che l’ottimismo della volontà e quello della ragione vadano di comune accordo per far sì che quella del Reddito di base universale globale non rimanga un’utopia.