Caro Avvenire,
visto che in Italia si sta dibattendo sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (Dat), e visto che prima o poi sarà fatta una legge in proposito, con grande danno degli italiani e delle loro anime, vorrei esprimere le mie personali Dat. Non so se è giusto renderle pubbliche, ma vorrei che fossero conosciute e rispettate.
«Ai miei parenti, ai signori medici e a coloro che mi assisteranno nel periodo finale della mia vita: 1. Se mi trovo in pericolo di vita, per incidente o per malattia, chiedo di chiamare al più presto un sacerdote cattolico che mi possa dare i sacramenti (Unzione degli infermi e, se è possibile, Confessione e Comunione). 2. Non si abbia timore di spaventarmi chiamando un prete, perché già altre volte ho ricevuto l’unzione degli infermi e quindi so di che cosa si tratta. 3. Non voglio nessun accanimento terapeutico, ma solo la normale assistenza, compresa l’alimentazione e l’idratazione, perché anche Gesù ha voluto un sorso d’acqua prima di morire. 4. In caso di forti sofferenze, chiedo che mi siano somministrate tutte le cure palliative e sedative, ma non la “sedazione profonda”, perché questa viene data sapendo e volendo che il paziente non si risvegli più. 5. Nel momento dell’agonia, chiedo che siano accanto a me persone credenti, che mi aiutino a sopportare la sofferenza col loro affetto, mi accompagnino con la loro preghiera, e mi raccomandino a san Giuseppe e sant’Andrea Avellino. 6. Chiedo fin d’ora a Dio la grazia di una santa morte, e che Dio stesso venga glorificato nella mia morte. Queste sono le mie volontà, quelle di un povero cristiano del terzo millennio. Amen».
Padre Enrico Cattaneo
Caro padre Cattaneo,
anche a me piacerebbe morire così – non subito, magari. Ma quando sarà l’ora vorrei esattamente quello che domanda lei. Prima di tutto, un sacerdote: per confessarmi e ricevere la Comunione. E l’unzione degli infermi. Anche io dirò ai miei figli di non avere timore di spaventarmi, nel chiamare un prete. Non voglio che mi si raccontino bugie. Ecco, questo lo scriverei chiaro in una Dat: non raccontatemi storie sulla mia condizione. Vorrei essere cosciente, finché posso, di ciò che mi accade, ed essere all’altezza di quell’ora. Nessun accanimento terapeutico, certo, ma che mi si nutra e mi si dia da bere sì. Questo è dovuto a ogni creatura che viva. Perfino per il mio cane mi preoccuperei che, moribondo, non soffra la sete. Stento a capire come questo punto possa essere oggetto di discussione. E come lei, pure io vorrò ogni cura palliativa, perché non sono un eroe, e del dolore ho paura. Forse, non so, domanderò che mi si faccia dormire, per rifugiarmi come in una penombra uterina. Ma non chiederò che mi si faccia morire. (Chissà chi sarà il medico che avrò accanto, quel giorno, mi chiedo; e come ragionerà, e come mi guarderà, se con indifferenza, o con umana pietà).
Vorrò con me le persone più care: il marito, i figli, i nipoti che ancora non ho, ma mi immagino già. Li vorrei vicini, anche se saranno ancora solo bambini. Perché guardino la nonna e capiscano che da vecchi si muore, ma che non è un muro cieco, la morte. Io me la immagino come certi torrenti di montagna, al tempo del disgelo, quando gonfi di acqua incontrano un dislivello: e allora tumultua l’acqua nel gran salto. Ma, dopo, riprende a scorrere, limpida e viva. Anche io vorrei che si preghi, attorno a me: il mormorio dolce e mansueto del Rosario vorrei, come un respiro regolare, accanto al mio che stenta. E poi, che non si pianga, ma invece dopo il funerale si faccia un gran pranzo, in campagna, e si beva e si mangi: perché se è vero ciò che crediamo, in verità è un giorno di festa. E infine vorrei essere sepolta nella terra, come una volta, e lentamente, sotto a una croce, ritornare polvere. Questo vorrei per quel mio giorno, caro padre, come lei. Morire da cristiana, semplicemente.