Caro direttore,
esattamente 60 anni fa un fisico italiano, Antonino Zichichi, decise di creare a Erice, borgo medioevale di suggestiva bellezza di cui era originario, un centro dedicato alla memoria del fisico Ettore Majorana dove gli scienziati potessero discutere dei progressi delle loro ricerche. L’idea fondante era l’auspicio di superare ogni ostacolo e confine per promuovere, senza condizionamenti, collaborazioni tra ricercatori ed esperti di ogni disciplina provenienti da varie parti del mondo. Ma non solo. L’obiettivo era anche quello di incoraggiare gli uomini di scienza ad assumere un ruolo più incisivo, per allontanare lo spettro della guerra nucleare che avrebbe portato alla distruzione dell’umanità e rafforzare le basi di una coesistenza pacifica tra nazioni appartenenti a blocchi contrapposti.
All’inizio degli anni Sessanta si era nel cuore della Guerra fredda. Pochi mesi prima che il professor Zichichi lanciasse la sua iniziativa, tra il 16 e il 29 ottobre del 1962, il mondo aveva assistito sbigottito e con il fiato sospeso alla sfida tra l’Unione Sovietica di Nikita Krusciov e gli Stati Uniti d’America di John Fitzgerald Kennedy per l’installazione di missili russi a Cuba. La crisi affondava le radici nella contrapposizione ideologica tra le due superpotenze esplosa alla fine del Secondo conflitto mondiale. Lenin era convinto che tra capitalismo e comunismo la guerra fosse inevitabile. Ma anche dopo il tramonto del leninismo, l’Urss continuava a minacciare l’Occidente, proponendosi di sconfiggerlo nell’arco di 20 anni grazie alle preminenti capacità tecnologiche e industriali. Ma neanche l’Occidente stava a guardare. Secondo alcuni calcoli, dal 1945 al 1963 erano stati effettuati 416 esperimenti atomici americani e 226 sovietici e il numero di testate nucleari era cresciuto vertiginosamente. Questi soli dati danno l’idea dell’arsenale nucleare in possesso dell’una e dell’altra potenza. Per di più i sovietici si erano assicurati la supremazia nella competizione tra vettori e missili con la messa in orbita dello Sputnik nel 1957 e il primo lancio di un uomo nello spazio nel 1961.
Il tentativo di Mosca di creare una base missilistica a Cuba, capace di distruggere in pochi minuti una qualsiasi città degli Stati Uniti, elevò la tensione tra Cremlino e Casa Bianca a un punto tale che si temette uno scontro nucleare con conseguenze catastrofiche per il mondo intero. È questa la tela di fondo contro la quale si muoveva Antonino Zichichi. La creazione del Centro Ettore Majorana a Erice non avrebbe soltanto riaffermato l’universalità della scienza. Avrebbe altresì sottolineato l’assurdità di credere che fossero proprio gli uomini di scienza a creare ordigni sempre più micidiali capaci di provocare la distruzione della specie umana. Proprio in quegli anni, Italo Calvino descriveva, ne “Il Visconte dimezzato”, la figura di uno scienziato che meticolosamente metteva a punto macchine di tortura e patiboli capaci di moltiplicare le sofferenze delle vittime, fingendo di non sapere a cosa servissero.
Pochi anni prima, nel 1954, con la fondazione a Ginevra del Cern – Centro Europeo per le Ricerche Nucleari – fisici di 12 nazioni europee erano riusciti nell’intento di creare un laboratorio all’avanguardia per la ricerca. Il fine era di ridare all’Europa il primato nella fisica, dato che in quegli anni i principali centri di ricerca si trovavano negli Usa. Anche quest’iniziativa aveva la valenza di riunire pacificamente scienziati di Paesi che fino a un decennio prima si erano fronteggiati militarmente. Antonino Zichichi lavorava al Cern dal 1955. Lo conobbi nel 1978, quando assunsi le funzioni di Capo di Gabinetto al Ministero per la Ricerca Scientifica. Il nostro primo incontro avvenne a Ginevra al Cern, dove si programmavano ricerche sull’origine della materia, campo in cui l’Italia era ed è tuttora tra i Paesi più avanzati al mondo. Fu Zichichi a suggerire di invitare il Papa a visitare questo importante laboratorio.
Il 15 giugno 1982, nella qualità di vicepresidente del Council del Cern, insieme al direttore generale Herwig Schopper accolsi Giovanni Paolo II. Era la prima visita di un pontefice al principale Centro europeo di ricerca fondamentale sulla fisica delle particelle. E le parole che pronunciò in quella occasione sono quanto mai attuali. Il Papa sottolineò l’importanza di fare avanzare la conoscenza scientifica «in comune », perseguendo questo obiettivo con spirito di apertura e di collaborazione. Aggiunse che porsi domande fondamentali, esistenziali (qual è l’origine del cosmo o perché troviamo l’ordine nella natura) andava aldilà delle scienze esatte, delle scienze naturali e non poteva non ingaggiare anche la filosofia e la fede. Giovanni Paolo II richiamò poi la responsabilità degli scienziati sulle applicazioni delle loro ricerche. Se alcune di queste possono servire all’uomo e al suo sviluppo, per la propria salute, le risorse alimentari, le fonti energetiche, la protezione della natura, altre – ricordò con tristezza – possono portare alla distruzione dell’equilibrio ecologico, a una radioattività pericolosa e alla cancellazione della vita. E concluse con un monito: « È ora di mobilitare le coscienze».
Tale esortazione indusse Zichichi, poche settimane dopo l’incontro con il Papa a Ginevra, a redigere il Manifesto di Erice che firmò insieme a due grandi scienziati: l’inglese Paul Dirac e il russo Piotr Kapitza. Era il mese di agosto 1982. Il Manifesto invitava la comunità scientifica internazionale a creare un pensiero di pace per assicurare la protezione della vita e della cultura, minacciate da una possibile catastrofica guerra mondiale. Ed esortava i Governi a compiere ogni sforzo possibile per ridurre il numero delle armi nucleari ammassate nei loro arsenali. A partire dagli anni Ottanta, il Manifesto di Erice è stato firmato da oltre 100.000 scienziati di tutto il mondo. Ci troviamo ora davanti a questi due anniversari: i 40 anni appena compiuti del Manifesto di Erice e i 60 del Centro Ettore Majorana. Nel momento in cui un conflitto drammatico infuria alle porte dell’Europa, seminando morte e distruzioni, sembra doveroso ricordare il ruolo svolto dai nostri scienziati nel promuovere iniziative di pace. Un programma di celebrazioni consentirebbe di mettere in evidenza la straordinaria attività del Centro Ettore Majorana, che negli ultimi decenni ha favorito il dialogo e la diffusione dei traguardi raggiunti dalla scienza nelle varie parti del mondo. Sono oltre 40 i corsi delle 130 scuole attive che si tengono ogni anno a Erice.
In conclusione, questi due anniversari potrebbero aprire un terreno di riflessione sulle iniziative da avviare per rendere le raccomandazioni contenute nel Manifesto di Erice più incisive possibile, tanto da farle penetrare nella coscienza degli uomini e delle donne, rendendole strumenti efficaci per influenzare positivamente le decisioni dei governi. Riflessione tanto più necessaria in questi tempi, dove di nuovo una parola di pace e di dialogo potrebbe arrivare dalla scienza.
Ambasciatore, già segretario generale del Ministero degli Esteri