Nel giugno 1945, i leaders delle nazioni del mondo erano soddisfatti per la fine della Seconda Guerra Mondiale e determinati a incamminarsi nella direzione opposta a quella del male globale che l’umanità aveva sofferto. A San Francisco essi sottoscrissero all’unanimità la Carta delle Nazioni Unite, il primo trattato mondiale che sancì il consenso di tutta l’umanità per la protezione dei beni comuni globali, gravemente danneggiati dalla guerra appena finita. Sin dai suoi primi paragrafi essa articola con chiarezza il suo obiettivo principale, cioè la volontà e la promessa di salvare le “generazioni successive” dal flagello della guerra, della povertà e del sottosviluppo. L’accordo tra 50 paesi proponenti fu guidato da quattro paesi (Cina, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Sovietica) autodefinitisi “amanti della pace” nella prima dichiarazione delle Nazioni Unite firmata a Mosca nel 1943. L’unanimità di intenti fu raggiunta in un tempo record di solo 51 giorni di consultazione. Il Segretario di Stato degli Stati Uniti, nel commentare la scelta della città di San Francisco per ospitare la conferenza, disse che l’idea gli era venuta due anni prima a Yalta, dove aveva immaginato “l’ambiente favorevole, il senso di pace sotto il sole e l’orizzonte dell’Oceano Pacifico, che sarebbe stato possibile nella città californiana dedicata a San Francesco”.
Quella speranza di visione alta e lungimirante funzionò bene: il primo trattato globale (dopo l’accordo di pace firmato a Yalta) si rivolse dunque con determinazione alle generazioni future per offrire loro le condizioni atte a un miglior governo internazionale delle principali condizioni necessarie alla pace, come la giustizia, la prosperità inclusiva, le risorse comuni a tutta l’umanità. Era chiaro a tutti che il rinnovamento della solidarietà tra le generazioni doveva estendersi non solo a coloro che erano in vita ma anche ai loro figli e nipoti. Vent’anni dopo, nel 1965 Papa Paolo VI nella sua lettera enciclica profetica Populorum Progressio affermò che lo sviluppo dei popoli è di sua natura interdipendente e pertanto affidato alla corresponsabilità e alla fraternità (PP, 64-65). Nel 2005, il Segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan riconfermò e ampliò lo stesso postulato riconoscendo che “nessuno Stato, per quanto potente, può proteggersi da solo”, e che “le minacce che affrontiamo sono interconnesse” e coinvolgono non solo tutte le nazioni sovrane, ma anche le imprese transnazionali, reti di esperti e di scienziati e le società civili organizzate.
Quasi ottanta anni dopo la conferenza di San Francisco, quella visione originale di una condivisione pacifica del pianeta Terra ha fatto certamente diversi e importanti passi avanti, in particolare nel campo della salute pubblica, dell’educazione, dei diritti umani e anche nel non utilizzo di armi nucleari in guerra. Ma si è trattato di un cammino molto più lento e accidentato di quanto i firmatari della Carta delle Nazioni Unite avevano immaginato. Tutti i firmatari che si erano affrettati a trovare un consenso nei loro governi erano nati negli anni a cavallo tra XIX e XX secolo: erano i leader di un mondo con meno di due miliardi e mezzo di persone, oltre la metà dei quali non aveva ancora raggiunto l’indipendenza e non aveva un governo democratico; inoltre non esisteva al mondo alcun strumento di comunicazione istantanea delle società civili. I pionieri del diritto internazionale e gli apripista della protezione inclusiva dei beni comuni globali avevano visto giusto nell’immaginare che era necessario creare subito delle regole e degli strumenti che rendessero possibile il governo di quei beni globali che appartengono evidentemente a tutti gli esseri umani e che non potevano essere affidati alla sola buona volontà di nessun governo nazionale.
Gli esperti di multilateralismo efficace sono unanimi nell’intravvedere l’inizio di una nuova era dei global commons. In un mondo interconnesso di oltre 8 miliardi persone, la generazione dei nati a cavallo tra il ‘900 e il 2000 è consapevole che il futuro sarà compromesso in molti modi, se l’umanità non affronterà con urgenza le distopie dei beni comuni globali. Stiamo già sentendo gli impatti della triplice crisi planetaria del cambiamento climatico, della perdita di biodiversità e dell’inquinamento, una crisi che diventerà più devastante e irreversibile da qui al 2030-50. A fianco alle sfide a medio termine come il riscaldamento e il degrado del pianeta, che il Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha chiamato a ragione “un mondo in ebollizione”, sono comparse ulteriori trasformazioni potenzialmente dirompenti, che possono essere lette in modo ambivalente come aggravanti o correttivi, vale a dire le migrazioni, le nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale e l’editing genetico, cambiamenti demografici verso una popolazione più anziana e un tasso di natalità ridotto, l’urbanizzazione crescente e nuove forme di economia circolare e di assistenza sociale. Con la quarta rivoluzione industriale, stanno cambiando velocemente i modi in cui le persone vivono, lavorano, mangiano, pensano e interagiscono in forme nuove di comunità di cittadini che superano le frontiere. Tuttavia, è mancata una simile accelerazione nella trasformazione dei sistemi di regole e di governo dei beni che appartengono a tutti in tutto il mondo.
Per realizzare lo scenario di svolta evitando nuovi conflitti mondiali, è necessario dunque un serio rinnovamento dei principi e delle pratiche dell’azione collettiva a livello globale, basandosi su ciò che funziona e su ciò che è stato raggiunto. Il patrimonio dei global commons, il patrimonio comune di tutti gli esseri umani e degli altri esseri viventi, si esprime nei due concetti di beni comuni globali e beni pubblici globali; essi sono utilizzati in vari ambiti, tra cui il diritto e l’economia. I beni comuni globali si riferiscono a risorse naturali o culturali che sono condivise da tutti e di cui tutti beneficiamo; comprendono i quattro beni comuni riconosciuti dal diritto internazionale, che sono al di fuori della giurisdizione nazionale: l’alto mare e gli oceani, l’aria e l’atmosfera, l’Antartide e lo spazio esterno - che oggi sono tutti in crisi. I beni pubblici globali sono intesi invece come beni e servizi a disposizione di tutta la società e di cui beneficia ogni cittadino. Altre risorse di interesse o di valore speciale per il benessere della comunità delle nazioni - come le foreste pluviali tropicali e la biodiversità - sono state incluse tra i beni comuni globali, mentre alcuni li definiscono in modo ancora più ampio, includendo la scienza, l’educazione l’informazione veritiera e la pace. Alcuni beni pubblici sono da tempo riconosciuti come di natura globale, in quanto nessun Stato li potrebbe garantire se agisse da solo, perché essi riguardano il benessere dell’umanità nel suo complesso. Questi beni spaziano dalle aspirazioni globali alla salute pubblica, alla disponibilità di energia rinnovabile e a diverse questioni pratiche, come per esempio la regolamentazione dell’aviazione civile internazionale o quella del cyberspazio.
L'attuazione del principio del patrimonio comune e delle responsabilità comuni si riferisce direttamente ai quattro fattori abilitanti chiave che sono stati identificati come pietre angolari dell’agenda di sviluppo post-2015: sviluppo sociale inclusivo, sviluppo economico inclusivo, sostenibilità ambientale e pace e sicurezza. È, dunque, facile per tutti rilevare che le minacce alla salute pubblica e alle risorse ambientali come acqua e aria pulite, al diritto internazionale della pace e a un’economia globale sostenibile ed equa vanno affrontate dall’insieme di tutti i popoli, imprese e società civili e richiedono una solida cooperazione internazionale convinta e costante. Come ha riaffermato papa Francesco nelle sue lettere encicliche Laudato si’ e Fratelli Tutti, la protezione di questi beni di tutti è un compito sempre più urgente che possiamo svolgere solo tutti insieme come veri fratelli senza frontiere, custodi della natura e del pianeta e di tutte le sue risorse. Il Segretario generale delle Nazioni Unite ha ribadito queste valutazioni e questa visione nel suo rapporto “La nostra agenda comune” in preparazione al forum di alto livello dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite in settembre 2023, che darà inizio a un anno di preparazione per il Summit mondiale sul Patto per il Futuro, previsto in Settembre 2024. Il nuovo Patto per il Futuro darà spazio a diverse accelerazioni nella riforma dell’ordine dei beni comuni globali. Invece di scandalizzarsi per le troppe distopie del pianeta o rifugiarsi nei sogni di utopie irrealizzabili, è necessario ed urgente che l’umanità si avvii dunque in un cammino di “pro-topia”, cioè di consenso e di azione urgente in tutte le trasformazioni che si possono fare e che funzionano.
Il futuro della governance globale sarà plasmato principalmente da cinque fattori: empowerment individuale con un maggior potere dei cittadini e del terzo settore, crescente consapevolezza dell’interdipendenza della sicurezza umana, maggior complessità e collaborazione istituzionale, aggiustamento del potere internazionale e del paradigma politico mondiale liberale. Anche il National Intelligence Council degli Stati Uniti ha identificato da oltre un decennio le questioni dei diritti umani e la diminuzione dell’influenza dello Stato come le principali tendenze globali del XXI secolo, sostenendo che il potenziale potere politico degli individui è aumentato in modo significativo dalla fine della Guerra Fredda, grazie alla proliferazione delle tecnologie dell’informazione e dei trasporti (U.S. National Intelligence Council, 2012). Questa tendenza sta rafforzando la convergenza tra politica interna e internazionale, limitando la discrezionalità del comportamento degli Stati e continuando a produrre una maggior efficacia di molti attori transnazionali. Considerando il forte aumento delle capacità degli individui nella raccolta di informazioni, nell’analisi e nella proiezione politica, la tendenza al potenziamento dell’impatto delle azioni individuali o di gruppi di persone sta aprendo opportunità più ampie verso una governance globale cooperativa, perché gli esseri umani, come singoli, famiglie e gruppi di cittadini organizzati generalmente preferiscono la parità di diritti e la pace molto di più dei governi che fomentano le guerre usando il vecchio paradigma di malintesi interessi nazionali.
Nel corso del 2023-24, le consultazioni tra gli Stati membri decideranno l’esito del Summit sul futuro. In preparazione, il Segretario generale ha delineato un programma ambizioso per la loro considerazione e lo ha dettagliato nel documento Our Common Agenda Policy Briefs. I punti essenziali sono: 1. Tener conto del futuro: adempiere all’impegno assunto nei confronti delle generazioni future; 2. Rispondere meglio agli shock globali: mettere in atto un programma di risposta internazionale più forte per gli shock globali complessi; 3. Includere in modo significativo i giovani nel processo decisionale globale; 4. Misurare il progresso umano in modo più efficace: concordare metriche efficaci sul benessere, la riduzione del debito, i finanziamenti agevolati e la cooperazione internazionale; 5. Concordare una visione della tecnologia digitale come motore del progresso umano, in grado di offrire tutti i benefici riducendo al minimo i potenziali danni; 6. Impegnarsi per l’integrità nell’informazione pubblica: realizzare un ecosistema informativo (in particolare online) che sia inclusivo e sicuro per tutti; 7. Riformare l’architettura finanziaria internazionale: per garantire che fornisca risultati più efficaci ed equi per tutti e in particolare per il Sud del mondo; 8. Promuovere l’uso pacifico e sostenibile dello spazio esterno; 9. Concordare una nuova agenda per la pace: aggiornare la comprensione e gli strumenti internazionali per il mantenimento della pace; 10. Trasformare l’educazione: realizzare un cambiamento fondamentale verso l’educazione alla pace, allo sviluppo e alla cittadinanza globale; 11. Realizzare l’ONU 2.0: adattare le pratiche di base delle Nazioni Unite su dati, comunicazioni, innovazione, previsione strategica, prestazioni e valutazione dei risultati.
In questa straordinaria finestra di opportunità 2023-24 per un futuro di sviluppo sostenibile più giusto e più pacifico, rispetto alle mille sfaccettature della riforma poliedrica della governance dei beni comuni globali, ogni cittadino può e deve mettere in campo la sua responsabilità, con un’attenzione prioritaria alla consegna inter-generazionale, alle sperimentazioni locali di buone pratiche replicabili, all’informazione veritiera e all’educazione alla pace e alla cittadinanza globale. Riconosciamo, in tal senso, un compito ineludibile dei laici credenti, impegnati nella tessitura di legami associativi e di alleanze per la promozione del bene comune globale, consapevoli che occorra sempre più apprendere nuove forme per abitare la complessità senza disperdere il senso e il gusto della comunità.
Notarstefano è docente alla Lumsa, Campus di Palermo, e presidente dell’Azione Cattolica Italiana. Calvani è docente all’Asian Institute of Technology (Bangkok) e presidente del consiglio scientifico dell’istituto G. Toniolo di diritto internazionale della pace