martedì 25 settembre 2012
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​Caro direttore,
lei ha perfettamente ragione nel rimarcare l’infondatezza dell’affermazione di Eugenio Scalfari nell’articolo su "Repubblica" del 1 settembre, ripresa da Roberto Esposito sempre su "Repubblica" nell’articolo del 21 settembre, secondo cui il cardinal Martini avrebbe «deciso di essere staccato dalle macchine che ancora lo tenevano in vita». Si tratta di un’inesattezza che va smentita con chiarezza e che per quanto mi riguarda non ho sostenuto in nessun modo, essendo ben al corrente delle condizioni del cardinale che visitavo con una certa regolarità (avrei dovuto essere a Gallarate proprio il 31 agosto, ma il giorno prima don Damiano mi avvertì del precipitare della situazione). Vorrei però precisare due cose: 1) la buona fede di Scalfari (e conseguentemente di Esposito che si limita a riprenderlo): Scalfari, che ha dedicato la vita alla precisione del linguaggio e all’esattezza delle affermazioni, sa troppo bene quanto le falsità abbiano le gambe corte per propinarne una sulla prima pagina di "Repubblica", per di più all’indomani della morte di una persona tanto nota e a lui umanamente molto cara. 2) L’articolo della nipote del cardinal Martini, avvocato Giulia Facchini, testimone diretta degli ultimi momenti di vita del cardinale, la quale ha scritto, rivolgendosi direttamente allo zio, «quando non ce l’hai fatta più, hai chiesto di essere addormentato» e così una dottoressa «esperta di cure che accompagnano alla morte, ti ha sedato» ("La Stampa", 4 settembre). Il cardinal Martini quindi non è stato staccato da nessuna macchina, ma ha piuttosto scelto, in libera determinazione, di staccare la sua presenza mentale (si potrebbe dire la sua anima spirituale) dal suo corpo. Questo è il dato che la sua fine consegna alla nostra pacata riflessione. Un caro saluto.
Vito Mancuso

 

Apprezzo molto la franca ammissione con la quale apre questa sua cortese lettera, caro professor Mancuso. E noto che, per questa via, lei opera alcune importanti precisazioni. Che però, per essere piene e adeguate, dovrebbero avere una circolazione mediatica almeno pari a quella della falsa affermazione di Eugenio Scalfari, secondo cui il cardinale Carlo Maria Martini avrebbe «deciso di essere staccato dalle macchine che ancora lo tenevano in vita». Diciamo che questa lettera in un qualche misura anticipa quel «laico inchino» alla verità che auspicavo in un mio editoriale del 22 settembre. La prima precisazione – addirittura doppia – che lei fa è tesa a garantire la «buona fede» di Scalfari e a riconoscere il grave errore commesso dal fondatore di "Repubblica" nello scrivere una cosa non vera. Trovo solo curioso che lo faccia lei e non il diretto interessato, ma mi sembra importante che venga fatto. La seconda precisazione riguarda invece lei stesso, quando rivendica di «non aver sostenuto in nessun modo» quella che definisce una «inesattezza» che «va smentita con chiarezza» – cioè l’eutanasia dell’arcivescovo emerito di Milano – e che io invece definisco un’autentica bestemmia della verità di una vita e di una morte cristiane. Trovo curioso, ancora una volta, che lei precisi in una lettera a me ciò che le è stato attribuito non da "Avvenire" bensì da un articolista di "Repubblica". A questo punto, gentile professore, devo dire di apprezzare decisamente meno il suo tentativo di sostituire un mai avvenuto «stacco della spina» con un deliberato «stacco della mente» o, addirittura, uno «stacco dell’anima». Sembra quasi che l’importante sia riuscire a dire che qualcosa è stato, comunque, «staccato»... Non è andata così. E lei che è persona acuta e che ha conosciuto l’arcivescovo Martini (e nella prima parte dell’estate appena finita ha potuto incontrarlo per l’ultima volta) dovrebbe forse maneggiare con ancor più delicatezza certi verbi. "Accompagnare" una persona morente con cure adeguate, che ne leniscono le sofferenze, non è affatto "procurare" la morte. Non si può dirlo e non si può farlo pensare. Perché il «far dormire» – cioè la compassionevole sedazione, che nel caso del cardinale è stata offerta dalla saggezza del medico curante e accettata dal morente – è appunto un modo per "accompagnare" chi sta troppo patendo. Confesso di scrivere con pudore, e vera fatica, queste cose che ogni volta mi fanno rivivere il dolore della morte di mia madre, malata terminale che ha compiuto un ultimissimo tratto di cammino terreno analogo a quello del cardinal Martini. Proprio per questo, se lei si augura una «pacata riflessione», io quella stessa riflessione la invoco – a ragion veduta – soprattutto rispettosa. Mai anestetizzata (penso ad alcune visioni ecclesiali e a certi rammarichi dell’uomo che ha guidato per oltre vent’anni l’arcidiocesi ambrosiana), ma profondamente rispettosa. Anche perché chiunque abbia davvero incontrato e capito Carlo Maria Martini – gesuita, vescovo e cardinale – sa che la sua grande e «libera determinazione» è stata di seguire Gesù Cristo e di vivere la Chiesa cattolica. Ricambio con cordialità il suo saluto.

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