sabato 15 luglio 2023
La controffensiva di Kiev non sfonda. Nel momento di difficoltà del Cremlino forse s'attende l'arrivo di ulteriori armi Nato. Ma il tempo stringe per Biden. Potrebbe essere il momento delle diplomazia
Guerra giorno 507: rallentamento dei combattimenti e la scommessa di Zelensky
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La guerra in Ucraina è arrivata al giorno 507, segnato più di altri dall’assenza di notizie dal fronte. Ciò non significa che non si combatta o non si bombardi, ma certamente lo si fa in tono minore e anche la controffensiva di Kiev sta segnando il passo. È interessante notare quello che le fonti ufficiali comunicano circa le azioni portate a compimento.

A detta dello Stato maggiore, le forze ucraine hanno abbattuto l’altra notte tre droni kamikaze russi nella regione di Mykolaiv, nel sud del Paese. È stata attaccata anche la regione di Zaporizhzhia. Non vi sono notizie di vittime o danni. Nelle stesse ore, l’esercito di Kiev ha sparato 60 proiettili contro l’area di Belgorod, situata poco oltre il confine, secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa russa Tass, secondo la quale non risultano morti o edifici colpiti.

Le forze ucraine hanno poi rivendicato la distruzione del sistema russo lanciamissili S-400 Triumf con il quale era stata colpita una pizzeria a Kramatorsk lo scorso 29 giugno, provocando la morte di 12 civili. Fra le vittime vi erano una diciassettenne e due gemelle quattordicenni. Il primo luglio è deceduta per le ferite riportate la poetessa Viktoria Amelina. I servizi segreti della Federazione hanno invece reso noto di aver sventato un presunto attentato da parte dei "servizi speciali ucraini" alle giornaliste russe Margarita Simonyan e Ksenia Sobchak, rispettivamente direttore e redattrice di “Russia Today”, l’organo russo in lingua inglese finanziato dallo Stato, e particolarmente vicine, pare, al presidente Putin.

Che cosa sta davvero accadendo dietro la mancanza di informazioni e questi annunci propagandistici? In primo luogo, c’è la consapevolezza da parte ucraina che lo sfondamento sperato delle linee nemiche per andare a riconquistare i territori occupati a Sud e a Est si sta rivelando un’impresa complessa e particolarmente sanguinosa. Per questo, in assenza di coperture di artiglieria e di aviazione, sembra che i vertici politici e militari di Kiev abbiano scelto di risparmiare il grosso delle truppe fresche e delle armi giunte dai Paesi Nato.

Non un vero rinvio della grande azione che doveva scattare in estate, ma una presa d’atto che le difese preparate dalle forze armate di Mosca sono solide e non avrebbe senso mandare al massacro migliaia di uomini per ottenere un risultato modesto sul campo e disastroso a livello politico. È chiaro, infatti, che, se l’offensiva andrà male, la Nato non continuerà a rifornire a pieno regime l’Ucraina e diverse strategie dovrebbero essere perseguite per arrivare a una trattativa.

Il calcolo di Zelensky e dei suoi generali è che si possa posticipare ancora di qualche mese il tentativo di una grande avanzata viste le difficoltà che affliggono anche il fronte interno di Mosca. Se attendere ancora significa avere la possibilità di ricevere missili a lunga gittata e i tanto richiesti caccia F16 americani, allora la scommessa potrebbe essere vincente. Dovranno essere d’accordo, però, anche i principali sostenitori di Kiev, ancora titubanti sulle forniture di armamenti che possano fare compiere un salto di qualità all’offensiva ucraina.

Il tempo, in questa prospettiva, stringe. Perché anche recenti voti al Congresso americano segnalano la crescita dell’ostilità dei repubblicani verso gli aiuti verso il Paese aggredito e lo stesso Biden non potrà non tenere conto di questo scenario domestico se vuole mirare alla rielezione. Ciò che sta succedendo al Cremlino e dintorni, d’altra parte, aiuta e complica la situazione nello stesso tempo.

Dopo il tentativo di ammutinamento del capo della Wagner, Prigozhin, ora ricomparso in Bielorussia, la presa del Cremlino sulla verticale del potere è parsa vacillare. E nuove voci si alzano per richiamare l’attenzione sulla cattiva conduzione del conflitto. Un alto generale ha affermato di essere stato rimosso dal suo incarico in Ucraina dopo aver detto “la verità” sulla situazione al fronte.

Ivan Popov era il comandante della 58esima Armata, impegnata nella regione meridionale di Zaporizhzhia. In un messaggio vocale, ha spiegato di aver sollevato dubbi sull'alto tasso di vittime e sulla mancanza di supporto dell'artiglieria. “Era necessario: tacere e fare il codardo o dire le cose come stanno", ha affermato. "Non avevo il diritto di mentire in nome vostro, in nome dei miei compagni d'armi caduti, quindi ho esposto tutti i problemi esistenti".

La dichiarazione dirompente è stata rilanciata su Telegram dal deputato Andrei Gurulyov, ex comandante militare e commentatore della tv di Stato. Popov ha poi riferito che il suo allontanamento è stato richiesto dai comandanti dell’operazione militare - che ha accusato di tradimento - e quindi approvato dal ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, uno dei bersagli, va ricordato, di Prigozhin.

In tutto questo è in bilico l’accordo sulle esportazioni di grano ucraino, che scade lunedì 17 luglio, e Mosca è restia a rinnovare perché punta a ottenere maggiori concessioni per il proprio export di prodotti agricoli. Sotto la cenere di una guerra che ogni tanto sembra entrare in pausa può esserci anche lo spazio per un ritorno in campo delle diplomazie. Prima che una nuova fiammata si alzi dai campi di battaglia.

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