Le teorie del complotto si basano tutte sul medesimo presupposto: tanto più sono indimostrabili, quanto più risultano incontrovertibili. Perché le prove ci sarebbero, ma vengono occultate. Perché quel che rimane è un pulviscolo di indizi che pochi, pochissimi riescono a ricondurre a un disegno unitario. In definitiva, perché Non ce lo dicono, come efficacemente sintetizza il titolo del recente saggio di Errico Buonanno sull’argomento (l’editore è Utet). A rendere ancora più simili tra di loro le varie ipotesi di cospirazione contribuisce l’opacità della loro origine.
Opuscoli di dubbia provenienza, manipolazioni con oscure finalità politiche, intenti persecutori malamente dissimulati. In una prima fase la vicenda del Covid-19 non ha fatto eccezione. Amplificata dall’effetto eco tipico delle reti sociali, la presunta controinformazione si è dapprima basata su fonti non verificate né verificabili, su video maldestri, sulla ricerca ossessiva della singola incongruenza che da sola avrebbe smentito la versione ufficiale.
Come già documentato su queste pagine, è bastata l’iniziativa di una dozzina di persone, nessuna delle quali in possesso di adeguate credenziali scientifiche, per far circolare la convinzione che il coronavirus non esisteva, che era stato certamente prodotto in laboratorio, che era stato diffuso intenzionalmente. Se vi sembra che un’eventualità escluda l’altra significa che il complottismo non vi è ancora abbastanza familiare: pur di ottenere il risultato, il quadro cospiratorio non teme di contraddirsi. La sua forza sta nella ripetizione, ulteriormente rafforzata dal carattere ricorsivo delle accuse. Come dimostra molto bene Buonanno, lo schema è sempre il caro, vecchio “loro contro noi”.
Loro che non ce lo dicono, noi che scopriamo la verità nascosta. Di ondata in ondata, però, la pandemia ha finito per introdurre varianti significative anche nelle reazioni dell’opinione pubblica. La più ragguardevole, almeno in Italia, consiste nel coinvolgimento di figure intellettuali di primo piano, che hanno progressivamente assunto posizioni polemiche per quanto riguarda l’applicazione del piano vaccinale e, in particolare, il ricorso al Green pass o Passaporto verde.
Con argomentazioni molto più sofisticate rispetto a quelle abitualmente in uso nella galassia complottista, si denuncia il rischio della limitazione delle libertà personali, adombrando minacciosi scenari futuri che, a un esame ravvicinato, tradiscono il principale difetto di sottovalutare o addirittura negare l’ancora minaccioso scenario presente. È un salto di specie forse non del tutto imprevedibile, questo che dalla rozzezza del “non ce lo dicono” porta alla condiscendenza dell’“adesso ve lo dico io”. Anche a costo, andrà aggiunto, di sottrarsi ad appelli autorevoli come quelli che provengono da papa Francesco e dal presidente Mattarella.
Molte delle obiezioni che ora vengono sollevate erano infatti implicite nella riflessione di questi pensatori, primo fra tutti Giorgio Agamben, al quale andrà riconosciuta la tempestività con la quale, fin dall’esordio dell’emergenza, ha ritenuto di dover denunciare come antidemocratici più o meno tutti i provvedimenti sanitari. Da questo punto di vista, la corrente attuale non è un’evoluzione del complottismo tradizionale, alle cui fortune finisce tuttavia per contribuire, accreditandosi anche presso persone che, per formazione e ruolo sociale, si immaginerebbero al riparo dal pregiudizio cospiratorio (esemplare, tra gli altri, il caso degli insegnanti renitenti al vaccino).
In un contesto così mobile e così difficile da circoscrivere, colpisce la disparità di condizione tra le diverse componenti di quello che va ormai considerato un movimento trasversale e in continua mescolanza: da un lato l’élite delle guide, o dei portavoce, che contesta un sistema (di potere, di reputazione, di sicurezza economica) al quale ancora appartiene e dal quale ancora ottiene benefici; dall’altro ,una folla a composizione variabile, accomunata da una sostanziale assenza di privilegi al di fuori di quello – pericolosissimo, dolorosissimo – che deriva dall’ostinazione a immaginarsi vittime di qualcuno, di qualcosa. C’è più di un aspetto inquietante in questo contrasto tra chi non ha nulla da perdere e chi invece mette tutto a repentaglio. Strano che non se ne parli. Strano che, una volta di più, non ce lo dicano.